Teatro dall’isolamento: Walter Manfrè recita Dante Alighieri
Appuntamento con il teatro: in questo video l’attore Walter Manfrè recita per Artribune il Canto XXXII della Divina Commedia
Continuano gli appuntamenti con il teatro da casa recitato dagli attori per Artribune in questi video. Un tavolo da cucina diventa l’assito di un teatro off-off Broadway per recitare in 2’17” un brano tratto da Laughing Wild di Christopher Durang. Una libreria dove sta appoggiata la raccolta delle opere di Luigi Pirandello introduce alla recita della sua Una notte di giugno. Mentre un frutto e un bicchiere di vino rosso sullo sfondo di un muro assolato accompagnano i versi de I limoni Eugenio Montale. Un quadro un po’ sfuocato in un salotto romano fa da quinta al racconto barocco di Lunaria di Vincenzo Consolo. Nel video che vi presentiamo qui è invece Walter Manfrè recita per poco più di 2 minuti per il Teatro di Donnafugata uno dei Canti più celebri dell’intera Commedia. Per l’esattezza i primi 42 versi del XXXII, dove si narra la vicenda del Conte Ugolino, intento a nutrirsi delle carni dei propri figli. Manfrè recita l’orrore e la disperazione della condizione umana con il solo ausilio di uno straccio sullo sfondo e di una sedia alla quale è abbarbicato. Ma il brivido raggiunge ugualmente.
–Aldo Premoli
“La bocca sollevò dal fiero pasto
Quel peccator, forbendola a’capelli
del capo ch’elli avea di retro guasto.
Poi cominciò: «Tu vuo’ ch’io rinovelli
disperato dolor che ‘l cor mi preme
già pur pensando, pria ch’io ne favelli.
Ma se le mie parole esser dien seme
che frutti infamia al traditor ch’i’ rodo,
parlare e lagrimar vedrai insieme.
Io non so chi tu se’ né per che modo
venuto se’ qua giù; ma fiorentino
mi sembri veramente quand’io t’odo.
Tu dei saper ch’i’ fu conte Ugolino
e questi è l’arcivescovo Ruggieri:
or ti dirò perché i son tal vicino.
Che per l’effetto de’ suo’ mai pensieri,
fidandomi di lui, io fossi preso
e poscia morto, dir non è mestieri;
però quel che non puoi avere inteso,
cioè come la morte mia fu cruda,
udirai, e saprai s’e’ m’ha offeso.
Breve pertugio dentro da la Muda,
la qual per me ha ‘l titol de la fame,
e che conviene ancor ch’altrui si chiuda,
m’avea mostrato per lo suo forame
più lune già, quand’io feci ‘l mal sonno
che del futuro mi squarciò ‘l velame.
Questi pareva a me maestro e donno,
cacciando il lupo e’ lupicini al monte
per che i Pisan veder Lucca non ponno.
Con cagne magre, studïose e conte
Gualandi con Sismondi e con Lanfranchi
s’avea messi dinanzi da la fronte.
In picciol corso mi parieno stanchi
lo padre e ‘ figli, e con l’agute scane
mi parea lor veder fender li fianchi.
Quando fui desto innanzi la dimane,
pianger senti’ fra ‘l sonno i miei figliuoli
ch’eran con meco, e dimandar del pane.
Ben se’ crudel, se tu già non ti duoli
pensando ciò che ‘l mio cor s’annunziava;
e se non piangi, di che pianger suoli? “
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