Mitologia digitale. La coreografa Kat Válastur al Romaeuropa Festival
Si intitola “Rasp your soul” lo spettacolo della coreografa Kat Válastur andato in scena al Romaeuropa Festival: una riflessione sugli intrecci fra mitologia e dinamiche contemporanee.
Fin dall’antichità il luogo privilegiato del simbolo è stata la mitologia, per sua essenza imperitura e sempre attuale, specchio immaginifico che riflette una rappresentazione familiare della realtà come possibile risposta ai grandi quesiti dell’esistenza. Questi materiali che la storia consegna vengono periodicamente rielaborati, attualizzati e riformulati a seconda del contesto con cui si trovano in contatto, malleabili per loro stessa natura e indicizzabili a piacimento, fra eroi ed eroine capaci di grandi imprese, madri e padri dissennati, mostri leggendari e figure umane che mutano la loro forma fisica. Ma sarebbe possibile creare una nuova mitologia contemporanea?
LA DANZA SECONDO KAT VÁLASTUR
Su questa riflessione si muovono gli ultimi lavori della coreografa e danzatrice Kat Válastur, greca d’origine e attualmente stabile a Berlino, che dal 2017 ha avviato una serie di opere che si concentrano sulla “produzione di mitologie come strumento per elaborare gli interrogativi del nostro presente”, raggruppati nel ciclo The straggered dances of beauty. A dare inizio a questo percorso troviamo lo spettacolo Rasp your soul, presentato in prima nazionale presso il Teatro Argentina di Roma lo scorso 29 settembre, nell’ambito della XXXV edizione del Romaeuropa Festival 2020. Figli della “cultura digitale capitalista” ‒ come si legge nel programma di sala – i nuovi mostri sono in mezzo a noi, anestetizzati di fronte alle passioni – usando una formula cara al filosofo Byung- Chul Han – e insensibili fino alla pelle: una distanza abissale che contraddistingue l’impossibilità d’incontro fra gli esseri umani nell’era digitale.
LO SPETTACOLO DI KAT VÁLASTUR
Contornato da una cornice a illuminazione intermittente, il performer Enrico Ticconi si presenta sulla scena in posa da ritratto, una scultura neoclassica immobile e impassibile, che nel passaggio dal buio alla luce appare circondato da diversi bastoni di legno in uno spazio bianco. Come archeologia di un lascito analogico che non viene più considerato e compreso, di cui non si capisce più l’utilità, questi oggetti diventano emblema del corpo stesso come terreno di una riscoperta del sensibile. Su questi elementi un testo si combina all’azione, frasi simbolo di una società perennemente online e connessa in cui i dettami fondamentali non contemplano le dinamiche della sensibilità, che fra vocalizzazione, distorsione acustica e spazializzazione del suono conducono il performer verso il morphing, creando un’antinomia fra parola ed espressione corporea. Soggetti sfuggenti, interrotti e precari che circondano il nostro quotidiano si riversano in una voce e un movimento coreografico decomposto, fondamentalmente incentrato sulla posa, la cui struttura alterna momenti di decostruzione e frammentazione ad altri dalle qualità fluido-robotiche, con camminate trascinate e frazionate di un essere dalla pelle ancora sensibile.
L’ESSERE UMANO SULLA SCENA
Posture da leader con tanto di tifo fanno da specchio a un mondo patinato che un tempo esisteva solo nel virtuale e oggi diventa più vero della stessa realtà, portando con sé una violenza innata che si contrappone a quella pelle, carne e ossa ancora capaci percepire, di un corpo che ancora sente: “Hey are these my hands? Do they cry?”, ecco quello che si chiede l’essere umano fra le rovine della scena.
Allora Rasp your soul diventa un invito – o forse un auspicio – a scardinare questi meccanismi, a ritrovare l’esperienza del sentire, a scarnificare e raschiare la propria anima fino al nucleo più autentico che ancora possiede, quello che una pelle sensibile riesce ancora ad avvertire persino in un universo post-mitologico.
‒ Valeria Vannucci
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