La danza iconoclasta de La Ribot, Leone d’Oro alla Biennale Danza 2020
La storia e la carriera de La Ribot, artista transdisciplinare insignita del Leone d’Oro alla Biennale Danza di Venezia 2020.
“Questa pandemia mi sta lasciando il cuore congelato. E per questo parlerò in castigliano, la mia lingua materna, perché oggi ho freddo e questa lingua mi dà calore”.
Esordisce con queste toccanti parole nel discorso della cerimonia che la vede ricevere il prestigioso riconoscimento del Leone d’Oro alla carriera per la danza La Ribot, artista, danzatrice e coreografa madrilena, che ha scelto negli ultimi anni come luogo d’adozione la Svizzera, Paese che ha il merito di sostenere la danza e i linguaggi contemporanei con audacia e generosità.
LA RIBOT, ICONA ICONOCLASTA
Individuata dalla direttrice artistica della Biennale Danza Marie Chouinard per il premio più autorevole della coreografia contemporanea, La Ribot è un’artista a 360 gradi che fluttua tra ambiti e discipline con libertà e rigore, attraversando differenti media e dispositivi, tra arti visive, performance, danza, poesia. Una “provocatrice” transdisciplinare che impersona e assume sulla sua pelle il paradosso di essere icona iconoclasta, La Ribot fa del suo corpo una rivolta incarnata, con cui gioca con ironia, intelligenza, gioia, misura ed esuberanza.
Diafana, con i suoi capelli e peli colorati di tinte accese, ribelli, omaggio al punk e alla sua irriverenza, e alla Londra sintetica e posthuman degli Anni Novanta con cui ha condiviso un decennio di vita, esperienze e frequentazioni artistiche, ha presentato, lo scorso ottobre, alla Biennale di Venezia, Más distinguidas. Il lavoro del 1997 raccoglie 13 dei Piezas distinguidas, una “compilation” di soli brevissimi (dai 30’’ ai 7’) concepiti e acquistati da singoli proprietari (proprietarios distinguidos, per l‘appunto), il cui nome rimarrà associato al titolo e che saranno informati dell’eventuale tournée. Tra gli acquirenti si annoverano celebri figure del mondo dell’arte quali Jerome Bel e Franko B.
LO SPETTACOLO DE LA RIBOT
In Más distinguidas, ancora dopo circa venticinque anni la coreografa affronta il palcoscenico con il suo corpo nudo, esposto allo sguardo, attraverso cui, in un susseguirsi di pillole performative, sfida il mercato dell’arte, ponendo al centro del lavoro il tema della mercificazione e della compravendita dei corpi degli artisti, operando allo stesso tempo un riposizionamento della danza nel gotha delle pratiche estetiche del contemporaneo.
Con accenti brutali, ma sempre raggelati da tocchi geniali di esprit de finesse, La Ribot provoca e si diverte, usando pigli e toni surrealisti, con la frammentarietà della visione e con la curiosità voyeuristica. Separa il tempo scenico e scompone allo stesso modo il corpo, in una danza di gesti rotti attraverso cui si scarabocchia la pelle trasformando se stessa e le sue membra in un’opera, scultorea, pittorica, plastica.
“Manifesto incarnato, che si rinnova costantemente distruggendo preconcetti,” come la definisce Marie Chouinard, La Ribot nel suo lavoro “pratica la povertà con opulenza” con scene minimali, di una semplicità tanto evidente da rivelarsi perturbante e iconica, in grado di trasportare in territori estranianti.
IL CORPO SECONDO LA RIBOT
Con la sua presenza aurea e transmutante, la coreografa, simpoietica nel suo operare, mixa e sincretizza una conoscenza vivida e trasversale dei linguaggi artistici contemporanei. Lo fa in forme libere e indisciplinate, in un richiamo alla potenza politica del corpo, che nel suo lavoro è strumento di empowerment e campo assoluto di sperimentazione.
A questo corpo, al corpo delle artiste e degli artisti, che hanno sofferto raggelati dalla pandemia, “artiste migranti, artiste bambine, sole, rifugiate e morte di freddo, vendute come mercanzia, artisti schiavi”, dedica il suo Leone d’Oro, con un messaggio che invita a fare dell’arte un percorso condiviso, virale, contagiato: un campo relazionale, composto da maglie, intrecci, entanglement, in grado di connettere in forme trasversali luoghi e pratiche geograficamente lontani. Sollecita a ballare senza sosta, “scambiandoci le forme, le pance, i capelli, i nasi, i corpi e la vita”, a non arrendersi alla fissità. A praticare in modo simile a come lei stessa, proteiforme, si trasforma e muta in Más Distinguidas, operando una critica radicale al dilagare del neoliberismo e al suo implacabile annullamento delle differenze e disintegrazione delle vulnerabilità.
‒ Maria Paola Zedda
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