L’arte somatica di Giovanni Anceschi sul palcoscenico del carcere di Opera
Giovanni Anceschi, che ha da poco celebrato l'80esimo anno di vita, torna sulla scena con uno spettacolo futurista e cinetico in cui per la prima volta le sue opere irrompono su un palcoscenico, quello del carcere di Opera.
Lo spettacolo Noi guerra! Le meraviglie del nulla è andato in diretta social, per la prima volta nella storia, da un carcere, dal teatro della Casa di Reclusione Milano Opera, grazie alla compagnia Opera Liquida, composta da detenuti ed ex detenuti di media sicurezza. Gli attori, guidati dalla regia di Ivana Trettel, hanno dato vita ad alcune partiture fisiche ed emozionali in relazione a una serie di opere di Giovanni Anceschi del 1959, le celebri Tavole di possibilità liquida.
Giovanni Anceschi (Milano, 1939), fondatore del Gruppo T, uno dei capisaldi dell’Arte cinetica e programmata, lavora insieme alla compagnia teatrale, con la generosità che lo contraddistingue, su temi a lui cari: tempo e relazione, psicologia della percezione, arte protetica (l’oggetto come protesi del corpo) e arte somatica (espressa attraverso il corpo dell’attore e dello spettatore), lavoro di gruppo.
ANCESCHI E IL GRUPPO T
Negli Anni Sessanta lavorare in gruppo significava avere una visione collettiva, dal forte significato sociale e politico, un’idea-ideale che oggi si è persa, racconta Anceschi. Eppure il Gruppo T, a differenza degli altri gruppi, non si è mai chiuso per lui, tutt’ora propenso a parlare al plurale quando racconta delle sue sperimentazioni. L’individualità di Anceschi, alla fine degli Anni Cinquanta, si era espressa coi liquidi e con una teoria della liquidità che, prima del filosofo Zygmunt Bauman, era legata al taglio scientifico e a quello umanistico. Oggi tale intuizione è ormai associata alla convinzione che il cambiamento è l’unico elemento permanente, l’incertezza è l’unica certezza o, per dirlo con Merleau-Ponty, la metamorfosi del corpo avviene grazie alla sua apertura percettiva al mondo, da esso modificato e che è capace di modificarlo a sua volta.
CORPO E RECLUSIONE
Questa metamorfosi avviene anche in stato di reclusione, come dimostra questo struggente spettacolo recitato dai detenuti, in un momento storico ‒ quello dato dalla pandemia ‒ in cui siamo tutti limitati, confinati. L’insegnamento che viene dall’arte è proprio quello della rigenerazione del sé che supera il limite e non lo assume, anzi, ne trae ispirazione.
La creatività, che è creazione, ci ri-crea e ci stravolge attraverso il codice e lo strumento più diretto: quello del teatro ‒ proprio quando i teatri sono stati chiusi ‒ e quello dell’arte visuale ‒ proprio quando i musei non sono accessibili al pubblico. L’emozione passa, “dal corpo chiuso al corpo diffuso” (direbbe Vettese), in un percorso che si libera dai codici strettamente legati alla corporeità per giungere a quelli che si manifestano attraverso protesi (fisiche e tecnologiche) e relazioni interpersonali (anche quelle che oggi si stabiliscono grazie alla rete nel web). Chi guarda ricompone mentalmente e percettivamente i frammenti, i “ricordi crudi della coscienza” (come li chiamano sul palco).
LO SPETTACOLO DI ANCESCHI
Secondo Anceschi, tutta l’arte è somatica. Tuttavia, non c’è arte più somatica di quella performativa.
Col teatro futurista il lavoro ha alcuni punti di connessione: la volontà di sottrarre il teatro al mercato dell’intrattenimento, il coinvolgimento dell’attore e spettatore e il punto esclamativo del titolo dopo la parola “guerra”. “Noi guerra!” si confronta con la guerra in senso più ampio, tra i popoli, ma anche quella più intima che ciascuno mette in atto contro se stesso quando diventa il proprio peggior nemico, a volte autoferendosi a morte. L’attrice sul palco combatte contro una busta in PVC riempita di olio lubrificante, staccata durante la lotta dalla struttura creata da Anceschi, la cerca, soccombe e poi si libera annunciando che “un colore vivo sgocciola sulla fronte del nemico” e che ha finalmente capito che questa guerra non è la sua. Quel colore è il rosso, tanto amato da Anceschi. Rosso violenza e odio, rosso amore e vitalità.
Nelle opere cinetiche di Anceschi la tecnologia è strumentale ma non è tecnocrazia, anzi, le sue membrane sono insieme protesi e clessidre basate sulla tattilità, in un universo ricco di contingenze fisiche e psicologiche che si aprono all’imprevisto. Nei suoi ambienti l’attore-spettatore è il centro dell’opera. Sul palcoscenico trova, quindi, la naturale conseguenza di un percorso artistico che lo ha portato qui: l’opera è attrice protagonista ‒ e non scenografia ‒insieme agli altri attori. Trattandosi di teatro, mancano gli applausi del pubblico (nascosto dietro gli schermi), ma per il resto c’è tutto.
Lo spettacolo debutterà, non appena si potrà, nel teatro della casa di reclusione di Opera per un pubblico misto di detenuti e civili e sono previste delle repliche, accompagnati da scorta, anche in altri teatri.
‒ Mercedes Auteri
ACQUISTA IL LIBRO autobiografico di Giovanni Anceschi
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati