Essere ballerini durante la pandemia. L’esempio del Teatro alla Scala di Milano
Parola a Christian Fagetti e Virna Toppi, ballerini del Teatro alla Scala di Milano che, nonostante la pandemia, sono riusciti a mettere in scena uno spettacolo, anche se registrato.
Essere ballerini in pandemia è un esercizio di pazienza e di fiducia, di determinazione e di disciplina. Perché mai come ora riuscire a mantenere fede ai propri schemi e procedere con l’allenamento del proprio corpo è una vera sfida. Perché se la danza è sacrificio, oggi lo è ancora di più. I ballerini del Teatro alla Scala di Milano sono tra i pochi in Italia ad aver avuto modo di riprendere almeno lo studio e sono riusciti a mettere in scena uno spettacolo, seppur registrato.
PARLANO I BALLERINI DEL TEATRO ALLA SCALA DI MILANO
“Negli ultimi mesi” ‒ ci racconta Christian Fagetti, solista della compagnia del Teatro alla Scala ‒ “la nostra vita professionale è quasi tornata alla normalità. Con tutte le precauzioni, con tanti tamponi, e seguendo un protocollo rigidissimo, siamo riusciti a proseguire. Certo, balliamo con le mascherine sempre, ma se non altro siamo tornati in teatro”.
Gli fa eco Virna Toppi, prima ballerina del teatro milanese, che vede questa opportunità come un dono: “Non vediamo l’ora di ricominciare senza restrizioni, ma ogni giorno che possiamo lavorare in un luogo idoneo e in sicurezza mi sento una privilegiata. Ballare senza spettacoli e senza pubblico non è la stessa cosa: ma il mio lavoro mi piace e non studio ogni giorno perché c’è uno spettacolo. Oggi continuare a studiare va fatto anche per rispetto dei tanti colleghi precari che da un anno non lavorano e sono senza stipendio”.
I BALLERINI E IL LOCKDOWN
Un periodo che riporta i due ballerini al primo lockdown, quando la situazione era ancora più grave. Christian ha iniziato un percorso di riflessione e ha trovato nei social network un modo per rimanere attivo e allo stesso tempo per dedicarsi agli altri: “Nel primo lockdown ho fatto un grande viaggio dentro di me. Ho avuto modo di apprezzare casa mia, il tempo in solitudine. Dal punto di vista fisico è stato un disastro, ma per fortuna i social mi hanno spronato: ho iniziato a proporre a chi mi seguiva su Instagram di fare la sbarra con me. Vedevo il numero delle persone che mi seguivano per studiare insieme e immediatamente mi sentivo meno solo. E dopo qualche settimana ho coinvolto anche i miei colleghi, subito entusiasti di partecipare. Tanti sono stati i ringraziamenti e le richieste di consigli: si è creato uno scambio positivo”.
Anche Virna Toppi ha partecipato alle lezioni: “Nessuno è abituato a fare lezioni con dei professionisti, per questo Christian ha fatto un bel lavoro: non è scontato che i ballerini divulghino i propri segreti, è stato lodevole. E bello anche coinvolgere i colleghi di altri teatri per essere tutti più uniti in un momento complicato”.
Toppi era a Monaco, in quei mesi, e se dal punto di vista dei mezzi il teatro l’ha aiutata, la solitudine si faceva sentire: “Lontana da casa, passare due mesi da sola è stato difficile. In Germania è stato vissuto in modo diverso, ma il lavoro non c’era e il teatro era chiuso. Il primo mese non ho mosso un dito del piede: in questi ultimi anni non mi sono mai fermata e mi sono imposta di prendermi del tempo. Ma l’incentivo per fare lezioni è arrivato quando Roberto Bolle mi ha contattato per fare corsi per ‘On dance’, la piattaforma da lui creata. Per me era l’unica porta di sbocco verso il mondo esterno. E poi le lezioni con Christian mi davano l’occasione di parlare italiano e di rendermi utile”.
Il ritorno in Italia e la riapertura seppur parziale del lavoro alla Scala ha cambiato la prospettiva a entrambi, anche se registrare spettacoli non è come viverli. Sospira Toppi: “Registrare uno spettacolo è una cosa asettica. Anche se ci credi e sei convinto, lo senti completamente diverso. È proprio come fare due lavori differenti. Ma è una benedizione già così”. Convinzione condivisa dal collega: “Il pubblico è quello che ti fa crescere l’adrenalina, è a loro che devi dimostrare cosa hai imparato. Quando balliamo in teatro abbiamo la presenza di 2000 persone, si sentono le vibrazioni, dobbiamo essere autentici per far recepire il nostro messaggio. Senza pubblico è tutto diverso. È diventato tutto social, anche questo. E non credo sia un bene”. Qualche spiraglio di ottimismo per Virna: “In questo modo abbiamo la possibilità di far entrare alla Scala chi non se lo può permettere o non ha mai avuto la volontà o la curiosità di vedere uno spettacolo, e questo è davvero splendido. Ma allo stesso tempo ho paura che poi possa diventare solo questo. Lo streaming è un buon compromesso momentaneo: può essere un ottimo spunto per far entrare in relazione con l’arte chi non lo conosce, e far loro capire che cos’è il teatro. Non può essere un sostitutivo, ma un di più”.
LE ATTIVITÀ DELLA SCALA
Così come è successo per le masterclass che il teatro milanese ha mandato in onda per mostrare il backstage e la preparazione allo spettacolo: “Queste masterclass permettono di vedere il lavoro in sala, mostrano come ci prepariamo, come affrontiamo la prova, il rapporto con il maitre e il direttore. Spiegano anche cosa vogliono dire i gesti che noi facciamo in scena. Anche dopo questa pandemia sarebbe bello che rimanessero, per far vivere al pubblico un momento che non potrebbe mai vedere”.
Il teatro milanese è stato tra i primi a cogliere le opportunità offerte dal digitale, e già da qualche anno è un punto di riferimento in questo senso: dirette Instagram dal dietro le quinte durante le prime, conferenze illustrative dei grandi eventi, interviste con i protagonisti a disposizione del pubblico. Ma soprattutto tanta interazione con gli appassionati, che premiano questa apertura con numeri significativi e condivisioni continue. Un modo decisamente contemporaneo di pensare un’attività antica, che di sicuro però non può in alcun modo sostituire l’esperienza dal vivo.
‒ Anna Prandoni
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati