Artisti, performer e antropologi colonizzano Martesana e Via Padova a Milano
È iniziato a marzo il nuovo progetto partecipativo di arte performativa nel tessuto urbano, “Le Alleanze dei Corpi”. Con artisti, antropologi e studiosi impegnati a riflettere sui temi della vulnerabilità, della cura, del corpo come strumento di empowerment sociale nel quartiere Martesana e nell’area di via Padova a Milano.
Nel fare i conti con le difficoltà dei tempi attuali, la sfera delle arti si è talora riscoperta nella sua originaria funzione rigenerante, mettendosi in dialogo con la parte più sofferente della società per coprirne i buchi, le lacune, le fratture. Sottratto ai luoghi a esso dedicati, il teatro torna ora a manifestarsi negli spazi di confine, nei luoghi di interazione sociale a lungo sacrificati. Si fa progetto politico capace di prendersi cura del benessere della comunità partendo dai suoi territori.
In questa direzione va il nuovo progetto Le Alleanze dei Corpi, che vede i linguaggi della danza e dell’antropologia protagoniste di un programma di residenze, laboratori, festival, mostre e incontri per esplorare le potenzialità del corpo in una pratica della rigenerazione partecipativa degli spazi urbani, della lotta all’isolamento sociale e alla vulnerabilità diffusa. Da marzo 2021 a giugno 2022, il quartiere della Martesana e di via Padova a Milano sarà l’epicentro di una serie di pratiche performative basate sull’ascolto e sulla partecipazione volte a indagare il corpo e la sua declinazione individuale, sociale e politica. I percorsi espressivi vedranno gli artisti e i cittadini residenti ridisegnare spazi di interazione urbana e mettere in discussione i limiti imposti dalle barriere sociali invisibili che rendono spesso faticoso l’attraversamento del corpo.
Le Alleanze dei Corpi è una comunione tra realtà milanesi che si occupano di performing arts come strumenti di trasformazione dei territori che ha come capofila DiDstudio, factory per autori emergenti nell’ambito delle arti visive e performative, insieme a Itinerari Paralleli, il Progetto Aisha, ZEIT e Stratagemmi_Prospettive Teatrali. L’iniziativa nasce nell’ambito del bando Obiettivo Focus del Comune di Milano per dare una risposta ai problemi del disagio sociale, dell’emarginazione, con una particolare attenzione alle fasce più deboli che hanno sofferto gli effetti devastanti della pandemia. Alle residenze si affiancheranno i laboratori con gli artisti Elisabetta Consonni, Francesca Marconi, Salvo Lombardo, Guillaume Zitoun e un festival che proporrà, oltre alle performance, anche un simposio. Il tutto si concluderà con una mostra nella primavera del 2022. Tra le location, oltre agli spazi pubblici di via Padova-Crescenzago e Nord della Martesana, anche quelli di Fabbrica del Vapore, Mudec e Base Milano.
Nell’intervista che segue, Maria Paola Zedda, curatrice del progetto e membro del soggetto capofila DiDstudio, ci parla più approfonditamente di Le Alleanze dei Corpi.
L’INTERVISTA ALLA CURATRICE DEL PROGETTO
Come viene affrontato il tema del corpo alla base di questo progetto e che importanza ha parlare di “alleanze” dei corpi in un periodo che ha visto sacrificare la presenza di questi ultimi?
Siamo partiti da una riflessione già avviata nell’ambito del Bando periferie del Comune di Milano sul rapporto tra corpo e spazio pubblico, su come il primo sia strettamente legato alla delineazione dei confini. È sul corpo che si tracciano i confini culturali, di genere, domestici, linguistici. Con questo progetto ci siamo occupati della relazione tra corpo e cura, nel contesto di via Padova, un vero e proprio cantiere di elaborazione in tema di coesistenza di realtà eterogenee e interculturalità.
Che ruolo ha la “cura” nel progetto?
È intesa non solo come benessere individuale ma come uno spazio di collettivizzazione dei saperi e di costruzione di alleanze relazionali. Crediamo che porla al centro della riflessione sia prezioso per reimmaginare una città fortemente provata dalla pandemia, in cui le opportunità di incontro e prossimità sono diventate fortemente limitate. Il progetto vuole rispondere ai problemi dell’isolamento sociale, riflettere su come la città inscriva sul suo corpo le tracce e le ferite delle diseguaglianze economiche, e indagare la cura come forma di potenziamento collettivo contro le vulnerabilità che si manifestano nei territori.
Riservate una particolare attenzione alle donne vittime di violenza, sex worker e migranti. Come pensate di intervenire?
La condizione femminile è centrale nel rapporto tra confine e spazio pubblico. Solo apparentemente permeabili, i luoghi nascondono una tessitura di segni che diventano limiti per la presenza del corpo, in particolare delle donne, soprattutto in quelle culture nelle quali la sua dimensione pubblica e politica viene spesso censurata. L’aumento delle richieste di aiuto da parte di vittime di violenza di genere ci ha indotto a ideare dei percorsi artistici e partecipativi per riflettere sulla vulnerabilità, sull’invisibilità dei corpi, sulla impermeabilità tra dimensione domestica e urbana, ricordandoci che la casa non necessariamente è un luogo che protegge. Abbiamo sentito il desiderio di rispondere all’assenza di contesti relazionali, creando spazi di creazione e di ascolto, e cercato di reimmaginare la città stessa come fosse un corpo, a partire dalle visioni degli abitanti, in particolare di diverse origini culturali. Sono proprio i saperi di quest’ultimi, spesso ignorati, che grazie al contributo degli artisti, verranno valorizzati e, in un processo di consolidamento della memoria, restituiti in una drammaturgia urbana che cuce le diverse narrazioni.
Come pensate di coinvolgere i residenti del quartiere?
La rete di partner che sostiene il progetto ha permesso un processo connettivo naturale. Da una parte ci siamo avvalsi della rete di ascolto che ogni realtà coinvolta porta con sé. Dall’altra, gli artisti del quartiere impegnati nelle residenze hanno portato avanti un processo di engagement che faceva della strada il principale luogo di costruzione di mondi e di relazioni. Così ha fatto Francesca Marconi, ad esempio, scendendo in strada e costruendo uno spazio di ascolto e di tessitura sociale che le ha permesso di lavorare con sex worker, bambini e associazioni di quartiere.
In cosa consistono le attività del progetto?
Lontane da pratiche verticali e assertive, le attività saranno legate al lavoro sul corpo e sulle micro-politiche dell’ascolto. Sarà privilegiato l’incontro “one-to-one” con gli artisti che hanno lavorato sui temi della cura durate le residenze. I loro lavori verranno restituiti in un primo percorso a giugno, nella fase del festival urbano, dei simposi e della mostra finale nello spazio urbano: una pergamena attraverso la quale leggere i territori. Alcuni progetti prevedono installazioni visive, performance, percorsi nel tessuto urbano, attraversamenti collettivi negli spazi della città, dj-set meticcio e laboratori critici.
– Valentina Cirilli
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