Ruby Onyinyechi Amanze a Reggio Emilia. Tra disegni e performance
Alla Collezione Maramotti l’artista di origine nigeriana, che vive e tra Philadelphia e New York, ha realizzato un “grande affresco su carta” per la sua mostra, e una performance con tracce di danza.
Tutto è nato da una visita nel 2019 alla Collezione Maramotti di Reggio Emilia. Dalla proposta di una serie di giganteschi disegni da creare all’interno del museo per una mostra; alla successiva realizzazione di una performance nello spazio museale. Il grande “affresco su carta” di Ruby Onyinyechi Amanze campeggia sulla parete della Pattern Room della Collezione. È l’esposizione dal titolo How to be enough, la prima in Italia dell’artista americana di origine nigeriana.
I DISEGNI DI RUBY ONYINYECHI AMANZE
Sui quindici fogli, estesi a tutta altezza e larghezza, sono raffigurati fluttuanti danzatrici, piscine e tuffatori, elementi architettonici, scooter e uccelli, tutti soggetti di un personale universo famigliare che predilige personaggi dalla identità “mista”, ibrida, e le relazioni che questi hanno tra loro e con lo spazio.
In quel vasto fondo bianco della carta, le figure sembrano sospese, creando una dimensione mentale oltre che fisica. La stessa che ritroviamo nella performance Tell me a way you pretend to be strong.
LA PERFORMANCE DI AMANZE
Presentata in concomitanza con l’esposizione dell’artista, sebbene da essa separata, la performance di Ruby Onyinyechi Amanze, con il pubblico attorno, consiste in una serie di azioni in cui la giovane performer esegue gesti e movimenti dettati da un dialogo con due altre danzatrici attraverso domande scritte su dei foglietti che si scambiano casualmente stando sedute e conversando, o raccolti da terra dopo essere stati sparsi come tracce di un possibile incontro.
È una raccolta di quindici capitoli di movimenti musicati (musiche originali di Cedric Hardy) incentrati sull’amicizia fra le tre donne e sulle loro conversazioni riguardanti il significato di volare, parlare, giocare, ascoltare e ripetere. Sono richieste espresse verbalmente le cui risposte si traducono in altre parole o in un movimento danzato – ad esempio eseguirlo più lento, più veloce, più ampio, più stretto ecc. –, e alle quali si aggiunge una terza performer con altre indicazioni e un suo personale assolo.
In questo scambio di frasi come base per il gioco e punto di partenza del movimento per mutare e diventare qualcos’altro, si inseriscono oggetti – una scala metallica sulla cui cima imitare una posizione di volo; o una bici per percorrere in circolo lo spazio e poi uscire fuori su un prato.
I LIMITI DELLA PERFORMANCE DI RUBY ONYINYECHI AMANZE
Le istruzioni che le tre donne si impartiscono tra di loro generano diverse sequenze organizzate, posture da assumere anche con cambi d’abito, improvvisazioni, che, slegate l’una dall’altra in una narrazione frammentata, senza una costruzione coreografica definita né una drammatugia minima che dia un senso coerente a tutta l’operazione, sortisce un effetto di vaghezza in cui rimaniamo totalmente estranei a quanto avviene.
Gli accenni di movimenti afro di Ruby, mescolati a quelli di Mor Mendel e di Emilee Lord, più contemporanei, o di un ballo chachacha, dentro uno spazio vuoto concepito come luogo di processo aperto, rimangono incompiuti.
Probabilmente la performance, se eseguita accanto alle opere realizzate dall’artista per la mostra, in una sorta di dialogo con esse a rendere plastico quanto il disegno sia già azione coreografica, avrebbe sortito ben altro esito.
– Giuseppe Distefano
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