Alla Scala di Milano trionfa il balletto di George Balanchine
Torna a Milano dopo otto anni il capolavoro creato dal celebre coreografo russo George Balanchine per il New York City Ballet e ispirato alla meraviglia delle gemme: smeraldi, rubini e diamanti
È una tentazione forte abbandonarsi al manicheismo e “darla all’untore” nei momenti di grande stress: l’abbiamo visto con la pandemia, lo vediamo con la guerra in Ucraina. Non è la Russia a volere la guerra, ma Putin, una manciata di fedelissimi (il cui numero è in caduta libera) e alcuni produttori di armi.
La reazione emotiva porta a confondere le parti con il tutto ‒ sottraendo dall’equazione 15mila arrestati e milioni di persone schiave dell’autocrazia, tra elezioni-fuffa e tentati omicidi ‒, sospendendo le letture di Dostoevskij o boicottando il museo delle icone russe di Palazzo Pitti: come i civili, in guerra la cultura ci rimette sempre, e se in ballo c’è la libertà dell’Ucraina, rischia forte anche l’anima della Russia. Il popolo russo non è il suo zar, ed è anzi storicamente consapevole dei danni interni della dittatura ‒ è il russo Evgenij Zamjatin l’autore del primo romanzo distopico del Novecento, Noi: è coltivandone il sentire e tenendo aperto un dialogo che possiamo auspicare uno scenario diverso. È qui che ‒ insieme a iniziative come quella di Roberto Bolle and Friends, che ha accostato ballerini russi e ucraini a Dubai il 2 marzo 2022 ‒ entra in scena Jewels.
JEWELS ALLA SCALA: UN TRIONFO DI SPLENDORE
Il capolavoro del compositore di origini georgiane George Balanchine (Georgij Melitonovič Balančivadze, nato a San Pietroburgo nel 1904 e morto a New York 79 anni dopo) è tornato al Teatro alla Scala di Milano dopo otto anni, per la terza volta dal debutto. Presentato a New York il 13 aprile 1967, Jewels è un caso eccezionale nella storia del balletto e nel repertorio del coreografo (teorico del balletto classico tra i più grandi del Ventesimo secolo), perché non ha una trama. Tutto ruota attorno ai gioielli, e a tre gemme in particolare: smeraldi, rubini e diamanti, protagonisti di altrettanti atti ispirati all’arte orafa di Claude Arpels, proprietario della gioielleria newyorchese Van Cleef & Arpels. Balanchine ‒ formatosi al Conservatorio di San Pietroburgo e al prestigiosissimo Teatro Mariinskij, fondatore della School of American Ballet e dell’omonima compagnia ‒ voleva con quest’opera dar vita a una creazione ampia e opulenta, che fosse apprezzata dal grande pubblico e adatta al New York City Ballet. Fu un successo straordinario, e ancora oggi più di metà delle date sono andate esaurite in breve tempo. La passione del pubblico per Jewels ruota attorno a pochi, grandi cardini: è un balletto per amore del balletto, celebra la gioia pura della danza coinvolgendo sia i principal sia il corpo di ballo, tramandando nei decenni lo splendore dell’eredità culturale russa.
IL TRITTICO DI BALANCHINE: SMERALDI, RUBINI E DIAMANTI
Musica, colori e stile di ballo sono diversi per i tre atti, permangono immutate solo le scenografie di Peter Harvey (illuminate con colori diversi di volta in volta). Il primo, dedicato agli smeraldi, è un balletto ottocentesco francese con musica di Gabriel Fauré, con brani tratti da Pelléas et Mélisande e Shylock. I costumi sono quelli di Karinska, costumista prediletta di Balanchine: sono impreziositi da gemme molto simili ai bijoux originali (troppo pesanti per essere indossati), che danzano insieme ai ballerini. Le coreografie includono elaborate geometrie simili a frattali ‒ consigliata la visione dal loggione, per i veri esperti ‒ ereditate da Balanchine tramite l’esperta direzione di Paul Connelly. Questo atto, come ebbe a dire il suo stesso creatore, vuole evocare “la Francia dell’eleganza, del comfort, dei bei vestiti e dei profumi”, e vi riesce alla Prima con le equilibrate performance dei primi ballerini Martina Arduino e Nicola Del Freo, la solista Alice Mariani e il primo ballerino Marco Agostino, e infine i solisti Alessandra Vassallo, Agnese Di Clemente e Mattia Semperboni, affiancati dal nutrito Corpo di Ballo.
Dalla filia, l’amore amicale, si passa nel secondo atto all’eros, l’amore carnale, con il tema dei rubini: ostico, sensuale, dissonante e sincopato, l’atto è musicato dal sodale e amico di Balanchine, Igor’ Stravinskij. Il risultato è frizzante e imprevedibile. Una ballerina solista e una coppia ‒ alla Prima, rispettivamente l’audace solista argentina Maria Celeste Losa e i primi ballerini Virna Toppi e Claudio Coviello ‒ sono guidati dalla performance pianistica di Roberto Cominati attraverso il Capriccio per piano e orchestra di Stravinskij. La coreografia, pura avanguardia russa, venne interpretata al tempo (erroneamente, precisò Balanchine) come omaggio all’America e al jazz, ma la musica non mente.
Il terzo atto, dedicato ai diamanti, è l’apoteosi della creazione del coreografo: è tempo della tradizione russa classica alla Mariinskij ‒ un ritorno alle origini per Balanchine ‒ con musica di Pëtr Il’ič Čajkovskij, precisamente gli ultimi quattro movimenti della Terza Sinfonia in re maggiore. La straordinaria coppia di primi ballerini composta da Nicoletta Manni e Timofej Andrijashenko (insieme anche nella vita) segna il culmine artistico della rappresentazione, che da soave si fa maestosa, corale e pienamente celebrativa con l’eccelsa partecipazione del Corpo di Ballo. In sole due ore, intervalli compresi, Jewels omaggia il bello in tutte le sue forme, dalle gemme ai corpi dei ballerini, dalla geometria alla musica: per ricordarci che la cultura può ‒ e deve ‒ elevare l’umanità e, ogni volta che riesce, unirla.
‒ Giulia Giaume
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