Intervista a Leo Gullotta, sul palcoscenico con il capolavoro di Melville

L’attore siciliano è in tournée con lo spettacolo “Bartleby lo scrivano”, adattamento teatrale dall’omonimo racconto di Herman Melville. Lo abbiamo intervistato

Su e giù per l’Italia. Una tournée serrata di date che si alternano dal nord al sud del Paese, Sicilia compresa. Ovunque gli applausi scrosciano generosi, il pubblico approva e le recensioni si soffermano soprattutto sul protagonista, eroe involontario e silenzioso di una rivoluzione senza tempo. Lo spettacolo è Bartleby lo scrivano nell’adattamento di Francesco Niccolini e con la regia di Emanuele Gamba, una produzione Arca Azzurra. Il protagonista è Leo Gullotta (Catania, 1946), che calca le scene insieme a Giuliana Colzi, Andrea Costagli, Dimitri Frosali, Massimo Salvianti e Lucia Socci.
La nostra conversazione telefonica avviene a pochi giorni dalle repliche al Teatro Alfonso Rendano di Cosenza, dove la pièce è parte della rassegna L’Altro Teatro, realizzata da Enzo Noce, Giuseppe Citrigno e Gianluigi Fabiano.
La scena ritrae lo studio di un avvocato, a Wall Street o in qualunque altra parte del mondo, dove ogni giorno scorre identico e ripetitivo il lavoro di due impiegati che si odiano fra di loro, una segretaria civettuola e una donna delle pulizie invadente. In questo ufficio viene assunto un nuovo scrivano, Bartleby/Gullotta, e tutto cambia.
Questo spettacolo” – spiega Gullotta ‒ “ha debuttato nel 2019 al Napoli Teatro Festival Italia con grandissimo successo. La tournée ha subito poi uno stop dovuto alla pandemia e dopo due anni e mezzo finalmente abbiamo ripreso. Il teatro è importante. Porta comunità, riflessione, sorriso. Tutte cose necessarie”.

Bartleby lo scrivano. Regia Emanuele Gamba. Con Leo Gullotta. PhotoLuca Del Pia

Bartleby lo scrivano. Regia Emanuele Gamba. Con Leo Gullotta. PhotoLuca Del Pia

INTERVISTA A LEO GULLOTTA

Com’è stato il ritorno sulle scene?
Liberatorio innanzitutto, perché la chiusura ha penalizzato la categoria dello spettacolo tutto, musica, cinema teatro, ovvero 80.000 persone, quindi 80.000 famiglie che non hanno avuto aiuti. Molti sono stati costretti a cambiare professione, proprio perché non c’è stato un avvento preciso di sostegno politico. Quindi ritornare a teatro, riprendere il lavoro sul set o davanti a un microfono è positivo, è vita.

Lo spettacolo sta raccogliendo consensi in tutti Italia. Perché piace, secondo lei?
Perché è una commedia drammatica sul conformista che è in noi. Bartleby non assomiglia a nessun personaggio della drammaturgia o della letteratura. È un alieno. Io sono l’interprete di questo personaggio meraviglioso, descritto in un semplice racconto da Melville due anni dopo Moby Dick. Come Leo lo amo molto. Amo testo e personaggio, soprattutto il refrain che per tutto lo spettacolo, nei dialoghi e negli incontri, consiste nella frase: “Avrei preferenza di no”. Me lo sento addosso questo personaggio con il suo modo di essere. Il motivo di questa corrispondenza è fondamentalmente uno: lui è una figura anomala, aliena, in un sistema che marcia a senso unico e, tramite questa sua preferenza verso il no, Bartleby opera una scelta, la dichiara e ci mette la faccia, e questo a Leo piace moltissimo.

I would prefer not to” è la frase originale, tradotta in “Avrei preferenza di no”.
Il lavoro di Niccolini è stato rispettoso, è un adattamento fedele al racconto di Melville. A uno spettatore di oggi, a più di cento anni dalla sua creazione, il testo risulta parlare con la voce dei nostri tempi. Un ufficio a Wall Street, grigio, privo quasi di una luce viva, dove “si lavora si lavora, si corre si corre”: non sono i tempi nostri questi? Si che lo sono. Tutto è dato allo spettatore, che guarda Bartleby, lo segue, può non capire all’inizio, ma alla fine si commuove. È lo spettatore che deve avere dentro di sé l’interrogativo: ho fatto mai una scelta così profonda nella mia vita?

È la capacità del teatro di far riflettere?
Questo è un testo che dà con estrema semplicità uno schiaffo. Io la definisco una commedia perché non manca l’ironia, ma è drammatica perché parla alla nostra parte conformista e la scuote profondamente. Lo spettatore viene inesorabilmente sedotto dal personaggio che all’inizio può sembrare lontano. Invece il vortice che si crea in relazione con gli altri ha il rigore della sua scelta di non partecipare alle vite ferocemente normali degli altri.

Bartleby lo scrivano. Regia Emanuele Gamba. Con Leo Gullotta. PhotoLuca Del Pia

Bartleby lo scrivano. Regia Emanuele Gamba. Con Leo Gullotta. PhotoLuca Del Pia

LEO GULLOTTA E IL TEATRO

Leggo nella sua biografia che il suo incontro con il palcoscenico è stato casuale.
Avevo 14 anni. Sono nato in un quartiere popolare di Catania, abitavo in una casa di ringhiera, ultimo di 6 figli di un operaio pasticcere. Però papà e mamma ci hanno fatti crescere con grande dignità. Sono arrivato a teatro per una serie di circostanze e fin da ragazzino mi sono ritrovato in una struttura professionalmente altissima come lo Stabile di Catania, dove, senza sapere cosa e come, mi sono ritrovato a stare per dieci anni con signori del palcoscenico quali Turi Ferro, Salvo Randone, Ave Ninchi. Mi chiamavano “Gullottino”.

Da lì ha preso il via una lunga e articolata carriera…
Perché un attore non può fare il lavoro dell’impiegato del catasto: deve saper guardare, apprendere, conservare; avere uno sguardo continuo sulla vita per avere dentro di sé tutti quegli elementi che aiutano a costruire personaggi. In 55 anni di carriera ne ho fatti di personaggi, di qualsiasi tipologia. Ho frequentato tutti i settori, ma questo è il ruolo dell’attore. L’attore deve conoscere i linguaggi dello spettacolo, del palcoscenico, del set. È quasi obbligato, altrimenti è soltanto un esecutore passivo.

Ma lei quali ruoli preferisce?
Io sono un interprete. Mi hanno insegnato, e l’ho sempre messo in atto secondo la tipologia del personaggio, che bisogna cercare quell’anima che non è scritta in nessun copione.

Si dice però che far ridere e più difficile che far piangere.
No, c’è soltanto questa pessima abitudine tutta italiana, che altrove nel mondo non esiste, di mettere i timbri: attore comico, attore drammatico… Un attore è un attore. Charles Laughton non era né un attore comico né drammatico, ma solo un magnifico, straordinario attore.

Nella sua lunghissima carriera c’è qualcosa che non ha fatto e vorrebbe fare?
Fin da ragazzino sono sempre stato molto curioso e per fortuna ho conservato questa caratteristica anche con l’avanzare dell’età. Se manca la curiosità manca l‘interesse per la vita. Le faccio un esempio enorme ma utile. Come giudicare oggi questo drammatico e incredibile evento che è la guerra? Bisogna conoscere, informarsi, capire da cosa sono derivate determinate situazioni. C’erano segnali nel passato? Se non si fa questo, si dicono delle frasi vuote, tanto per parlare.

Ma non crede che oggi ci sia un eccesso d’informazione?
Ma fortuna che c’è, l’informazione. La vera tragedia è che c’è anche un eccesso di fake news. È quindi leggendo, facendo uso della curiosità, che magari si riesce a distinguere. Bisogna fare delle scelte. Ed ecco che ritorna Bartleby. Dobbiamo sempre chiederci perché. E saper dire “Avrei preferenza di no”.

Franca Ferrami

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Franca Ferrami

Franca Ferrami

Franca Ferrami, cremonese trapiantata in Calabria da quarant'anni, è giornalista, addetta stampa, copywriter e grafica. Laurea in Dams all'Università della Calabria e corso di alta formazione in Human Resourses, scrive sul quotidiano "Gazzetta del Sud" e si occupa di teatro…

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