Festival d’Automne a Parigi. Intervista alla neodirettrice artistica Francesca Corona
Dopo una burrascosa conclusione dell’esperienza lavorativa al Teatro India, Francesca Corona approda a Parigi, alla guida di uno dei festival performativi più seguiti di Francia. Ne abbiamo parlato con lei
La nuova direttrice artistica del famoso Festival d’Automne, che occupa i calendari dei teatri di Parigi e banlieue per quasi quattro mesi l’anno, è italiana. Francesca Corona, 43 anni, con un passato professionale tra l’Italia (codirettrice di Short Theatre e consulente artistica del Teatro India – Teatro di Roma) ‒ e la Francia (ha diretto Dansem a Marsiglia), premio UBU 2018. L’abbiamo incontrata per discutere di cosa significhi per lei e per il festival questo nuovo inizio e quali sono i progetti che ha a cuore per questa sua prima edizione, co-curata con la direttrice artistica uscente, Marie Collin.
INTERVISTA A FRANCESCA CORONA
Come ti senti dopo la nomina?
L’annuncio è giunto in un periodo molto difficile della mia vita professionale, una grande crisi istituzionale al Teatro di Roma, che ha dato vita anche ad attacchi personali: la manifestazione di come sia difficile operare in ambito artistico in Italia.
A Roma hai visto nascere e diretto Short Theatre, un festival legato al territorio. Il Festival d’Automne vive una dimensione diversa, un festival “istituzionale”. Come vivi questo cambiamento?
Sicuramente la relazione tra opera e contesto è diventata centrale nel mio lavoro, o meglio lo è sempre stata. Dal lavoro per Short Theatre o PAV, fino a quello per Dansem a Marsiglia, in un altro tipo di scenario. Questa relazione multipla, complessa e stratificata permette l’emergere in modo chiaro e potente della capacità relazionale dello spettacolo dal vivo, la sua portata “politica”. E credo che questo non debba avere alcun limite all’interno di un’istituzione. Questa postura tiene sempre presente la capacità dello spettacolo dal vivo di farsi “informare” dal contesto e allo stesso tempo potenzia la sua capacità di creare spostamenti, nuove geografie e relazioni.
Porti con te l’attaccamento al territorio?
La riflessione sul territorio dal quale emerge la programmazione del Festival d’Automne è centralissima. L’immaginazione e la negoziazione con i luoghi, la relazione con i territori, fino all’emergere di un disegno di città anche attraverso i luoghi che il festival attraversa. Questo festival ha la capacità di riscrivere le relazioni e le gerarchie tra piccole istituzioni informali e grandi istituzioni storiche, tra centro e periferie, tra diversi formati e generazioni. Il Festival d’Automne non è solo frutto del territorio, credo sia anche potenzialmente in grado di partecipare alla sua re-immaginazione. Solo a Parigi un festival può essere pensato in modo da tenere insieme un tale numero di istituzioni, 64 spazi per la precisione. Una prova di grande intelligenza collettiva.
Parigi è una città molto diversa da quelle in cui hai agito fino a ora. Che tipo di interazione esiste tra la proposta artistica e gli spettatori? In che modo la città e il festival si rapportano alle periferie?
Il festival cerca di entrare in relazione con ogni contesto in modo accurato, esigente, il più possibile generoso e in ascolto. Ogni teatro e ogni quadrante della città ha la sua multipla identità, stratificazione sociale, storia, geografia. Il festival si nutre anche della capacità dei teatri partner e si inserisce nella dinamica che ogni teatro attiva sul suo territorio, operando da acceleratore della creazione artistica su scala internazionale.
In che modo interviene il pubblico?
Il nomadismo del Festival d’Automne crea una nuova geografia, porta i pubblici a spostarsi in teatri non centrali, funge da traghetto, da ponte ma anche da megafono rispetto al lavoro che ogni teatro fa durante l’anno nel proprio territorio.
I PROTAGONISTI DEL FESTIVAL D’AUTOMNE 2022
Come far perdurare gli effetti positivi, in termini di inclusione dei margini, e far sì che non si riducano al tempo effimero del festival?
Da tempo ormai il festival attiva una fitta maglia di pratiche, azioni specifiche e progetti che lavorano quotidianamente su questi obiettivi, spingendosi ben oltre i confini temporali del festival e facendo di questo nomadismo una forza di movimento nella città. Il lavoro da fare è grande e necessita determinazione e urgenza. E una delle direzioni imprescindibili è quella che riguarda il palcoscenico, le storie che vengono raccontate, le biografie di chi le racconta, di chi prende la parola.
Nel programma arti performative del 2022 ci sono nomi che tornano e nuovi volti. Alcuni, nonostante la fama, non avevano mai partecipato al festival: penso a Philippe Quesne o al più giovane Théo Mercier. E poi?
Partirei dal portrait del 2022 dedicato a Marlene Monteiro Freitas, nato da un’idea di Marie Collin con la quale ho elaborato il progetto. Questa retrospettiva assomiglia a Marlene nella forma oltre che nei contenuti: un’artista luminosa e complessa, con una creazione indefinibile e magnetica, generosissima. Tante le discipline che attraversa, i formati, i luoghi tra i quali navigheremo per seguire il suo percorso.
I portrait riguardano anche artisti giovani come Noé Soulier.
Per Noé Soulier abbiamo immaginato un dispositivo specifico, non propriamente un portrait, ma piuttosto un gesto più istantaneo, meno retrospettivo, che permetta comunque di mettere in luce una ricerca specifica e presentare la sua ricerca artistica attraverso diversi lavori.
Vi è anche una nuova sezione, répertoire, che sembra nascere da un desiderio “ecologico” rispetto alla produzione artistica.
Sì, e come tante buone idee viene dal basso, dall’esperienza, dopo un periodo in cui tanti spettacoli non hanno potuto vedere la luce o essere mostrati. È importante trovare uno strumento che permetta agli artisti che non possiedono nuove creazioni di essere comunque presenti al festival. E in generale la questione del repertorio, di come possa essere risignificato e nutrito, credo sia una delle nostre responsabilità.
Un altro tema che ti sta a cuore?
La questione dello spazio pubblico, quest’anno con Fronterà / Procesion ‒ Un rituale de Agua della coreografa Amanda Piña che punteggia con le sue performance tutto il mese di settembre attraversando tre territori molto diversi tra loro, sul quale abbiamo collaborato con sei diverse istituzioni culturali e decine di associazioni e che coinvolge in tutto 150 amatrici e amatori. Questo progetto è stato presentato per la prima volta a Short Theatre nel 2021, nella edizione co-curata con Piersandra Di Matteo, che ne ebbe l’idea. Questo lavoro in qualche modo per me è un anello tra Roma e Parigi, tra una fine e un nuovo inizio.
‒ Chiara Pirri
https://www.festival-automne.com/
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