Corpo, età e trasformazioni. Le coreografie di Rachid Ouramdane e Angelin Prejocaj a Parigi
Nell’ambito del progetto “Over dance” di Aterballetto, al Chaillot ‒ Théâtre national de la Danse di Parigi sono andate in scena le riflessioni coreografiche di Rachid Ouramdane e Angelin Prejocaj. Occhi puntati sulla trasformazione dei corpi, il virtuosismo e l’autorappresentazione dell’età
Un Jour Nouveau è un one-shot di quindici minuti, durante i quali il danzatore Darryl E. Woods e la danzatrice Herma Vos intrattengono il pubblico senza lasciare il palco. La parola “intrattenere” – o anche “in-trattenere” – è adatta a descrivere quello che il coreografo Rachid Ouramdane ha messo in scena. Una riflessione sullo scorrere del tempo nei corpi, ma anche in una disciplina e nelle relazioni amorose, quella tra Desirée e Fredrick di A Little Night Music (1973), di cui fa parte Send in the Clowns, che chiude il lavoro.
L’atmosfera è quella dei musical: la gestualità così esplicitamente eloquente, gli outfit, l’alternanza tra parole dette e cantate, tra azioni danzate e recitate, la ricerca dichiarata di una complicità con il pubblico. I due interpreti entrano in uno spazio in cui la distanza tra rappresentazione e quotidianità è assottigliata dalle luci accese sulla platea. Parlano tra di loro e con noi, ci salutano sulle note di Everybody loves to Cha Cha Cha (1959) di Sam Cooke, poi iniziano a danzare, prima a turno, poi insieme. I movimenti sono lenti, controllati, le braccia e il volto espressivi, i corpi sempre frontali, rivolti a noi. I quindici minuti terminano con la proiezione delle parole del pezzo di chiusura, in francese e in sincro con quanto pronunciato dai danzatori:
“Isn’t it rich?
Isn’t it queer?
Losing my timing this late
In my career?
And where are the clowns?
There ought to be clowns.
Well, maybe next year”.
I due interpreti hanno perso un timing per trovare un altro. In questo giorno nuovo, corpi “fuori norma” non cedono al ricatto della prestazione, rivendicando forme compositive e intensità alternative. Si vede tutto; le tracce incarnate di una disciplina passata, lo sforzo, anche i rimpianti non sono negati e diventano cifra stilistica.
BIRTHDAY PARTY DI ANGELIN PREJOCAJ
Birthday Party sembra svilupparsi per contrapposizione allo spettacolo che lo precede: otto gli interpreti – non tutti professionisti –, numerosi i cambi di outfit – tutti davvero molto strutturati e ben riusciti –, numerosi i pezzi musicali, le entrate e le uscite, le sequenze compositive, le atmosfere, le posture e le gestualità. Il lavoro di Angelin Prejocaj è una lunghissima sequenza – cinquanta minuti – di quadri coreografici, delimitati da un inizio e una fine in riverso. La sensazione è quella di essere trascinati in un tour di birthday parties sempre più perturbanti. L’immortalità distopica dei rinnegati del Vortex di Zardoz (1974) incontra la promessa della felicità e l’incitamento al divertimento eterno. Viene da chiedersi con Sara Ahmed “Why happy? Why Now?” (2010).
Nonostante le intenzioni che hanno generato il progetto, l’autore sembra cedere alle “condizioni di fallibilità” dei corpi delle e degli interpreti. Le virtuosità alternative fatte di asimmetrie, tempi dilatati, orizzontalità e palinsesti, che questi corpi offrono, faticano nell’incontro con la ricerca coreografica di Prejocaj a divenire nuova sintassi, che nulla deve rimpiangere della “correttezza” canonica di corpi “abili”. Le occasioni certo non mancano, né le qualità evidenti delle e dei performer. Nella carrellata di frame coreografici, alcuni riescono davvero nell’intento di offrire un’idea alternativa di danza fuori dai dettami dell’abilismo e dell’agism. L’assolo di Mario Barzaghi non cerca indulgenza né sconti in un pubblico che, purtroppo, sembra cedere con troppa facilità a espressioni compiaciute e slanci di clemenza. Ci chiediamo se non sia un’occasione mancata.
Alessia Prati
https://theatre-chaillot.fr/fr
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