Shakespeare by Night nel borgo medievale ligure. Lo spettacolo del Teatro della Tosse
La storica compagnia genovese si trasferisce nell’entroterra ligure di Apricale, trasformato in teatro all’aperto diffuso e popolare, dove Shakespeare è spunto per presentare le maschere della commedia dell’arte
Ci sono esperti e amatori, ma anche bambini al seguito di genitori curiosi e adolescenti che ritrovano qui l’immagine per loro più digeribile di quello che stanno studiando o che studieranno. Migliaia di spettatori paganti per lo Shakespeare by Night (andato in scena con dieci repliche, dal 6 al 16 agosto) rappresentato dal Teatro della Tosse di Genova, per il suo tradizionale spettacolo estivo nel borgo medievale di Apricale, nell’entroterra tra Ventimiglia e Bordighera (Val Nervia).
Si comincia con l’attesa banchettante nel foyer, la piazza del Comune che sta davanti al castello e a fianco alla chiesa. Tutto è raccolto e intenso. Attorno al palco, che quest’anno è a forma di stella alpina, i tavoli di ristoranti e Proloco sono imbanditi di piatti tipici. Alle 21.15 si sbaracca, il menestrello entra in scena e prologa quel che accadrà, issando dal pubblico un bimbo ignaro e divertito a fargli da “testimone”. Lo spettacolo, giocoso come sempre visto che è prodotto dalla Fondazione Luzzati, è uno Shakespeare “a pezzi”, riscritto dallo storico regista e autore del Teatro della Tosse, Emanuele Conte, che l’ha tratto da una serie di monologhi dei personaggi chiave del bardo sull’Avon.
Shakespeare secondo il Teatro della Tosse: i personaggi folk e il grottesco
All’epoca di Shakespeare era il Globe il teatro delle sue rappresentazioni, un palcoscenico grande di fronte a una platea di terra battuta per soli posti in piedi e attorno spalti interamente in legno. Contavano le parole, che cantavano. Esaltato dai romantici tedeschi, Goethe in primis, il Bardo ha segnato il nostro modo di vedere e di vivere aspetti fondamentali della vita, dall’amore alla morte. E la scelta di Conte è quella di offrire uno “spezzatino” di monologhi per creare una pozione magica in cui la riflessione esistenzialista sul senso della vita e della morte si mescoli con i personaggi shakespeariani più folk, legati alla meraviglia suscitata da streghe, folletti e fate, di cui l’immaginazione del Bardo si nutriva “pepando” così la filosofia più sottile dedicata ai temi del potere, del fratricidio o dell’onore. Amleto e Macbeth non ci sono, al loro posto parlano le streghe “femministe” che decostruiscono il ruolo del re in quanto maschio alfa (Macbeth), mentre il becchino del cimitero dov’è sepolto il padre di Amleto intenta uno sbeffeggio ragionato delle paturnie del principe di Danimarca. Così il massimo poeta inglese diventa un archivio da cui attingere per riscrivere personalità e storie e gettarle nel grottesco di un carnevale medievale come sembra diventare questo teatro di strada, tradotto in una commedia dell’arte in cui i personaggi shakespeariani diventano maschere.
Uno spettacolo per pubblico deambulante
Del tutto funzionale all’approccio di Emanuele Conte è proprio la formula, ormai ritualizzata, della deambulazione del pubblico tra le viuzze petrose di Apricale, in cerca dell’angolino nascosto o della piazza, del museo (quello della Lucertola) o del castello, che accolgono l’attore-maschera costretto a ripetere il suo monologo per sei volte a sera, tanti sono i gruppi in cui sono divisi gli spettatori.
Così, diventiamo noi stessi protagonisti di un auto-spettacolo, quello dei gruppi in cui siamo stipati e che s’intersecano tra le vie di pietra alte e strette che formano quel dedalo inerpicato sul colle che è Apricale. Una gioiosa caccia al tesoro con l’attore che attende il pubblico-gregge condotto dalle maschere-pastori. Un rito collettivo in cui si è allo stesso tempo spettatore e performer. Molto immersivo e interattivo, ma low tech.
E non mancano i punti fermi di Shakespeare, come la celebre sentenza: “Siamo fatti della stessa materia di cui son fatti i sogni”. In una serata in cui il teatro ritorna rito collettivo e partecipato, ciò sembra più vero. Forse, si respirava una simile atmosfera al Globe all’inizio del Seicento.
Nicola Davide Angerame
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