Com’è la Madama Butterfly di Özpetek al Teatro San Carlo di Napoli?
Il regista turco porta al San Carlo una Cio-Cio-San non più vittima, ma eroina di un dramma che la vedrà comunque togliersi la vita, però sempre padrona delle proprie azioni
Nel bel mezzo di una questione più politica che culturale, come l’illegittima esclusione del direttore teatrale Stéphane Lissner, reintegrato il 12 settembre 2023 alla direzione del Teatro San Carlo, si è svolta la prima della Madama Butterfly di Ferzan Özpetek, e Dan Ettinger come direttore d’orchestra, divisa in tre atti, di cui il pubblico napoletano potrà godere fino a giovedì 28 settembre. Non la prima volta del regista turco a confronto con la tragedia giapponese di Giacomo Puccini, ma una versione inedita che conferma la sua fascinazione per la trama originale.
La Madama Butterfly di Özpetek
Nel libretto, Butterfly è una giovane giapponese di nome Cio-Cio-San, che sposa falsamente un ufficiale di Marina americano, Pinkerton, il quale presto l’abbandona seppure lei sia convinta di esserne la moglie. L’uomo ritorna dopo tre anni con una nuova e vera sposa, a cui Butterfly consente di affidare il loro bambino, suicidandosi poi per il disonore e per il dolore. Sul finale la drammaticità raggiunge il suo apice, visivo – con la castità della veste bianca – e narrativo, con il taglio della gola per mezzo dell’arma con cui si è ucciso il padre samurai e l’accompagnamento delle note di Puccini. Özpetek è rimasto fedele alla storia originale, del drammaturgo David Belasco prima e Puccini poi, e non ha fatto “cose strane”, come conferma lui stesso, lavorando piuttosto su modifiche tecniche, che hanno aumentato la drammaticità della tragedia, a partire dai colori sgargianti che diventano una costante del dramma. Ma è cambiata anche la psicologia del personaggio: “Madama Butterfly non è una povera vittima, una geisha, anzi la sua decisione di morire diventa una sorta di rivincita”. Dunque, il personaggio principale diventa un’eroina decisa in tutto ciò che fa, persino nei movimenti e nel duetto al termine del primo atto che la tradizione vuole si concluda copulando lontani dagli occhi degli spettatori: nella versione del regista, invece, l’azione si svolge sul palco, “cercando di fare il possibile per mostrare e non mostrare” le fattezze dei corpi.
Il cinema nel teatro di Özpetek
Il linguaggio del Ferzan Özpetek regista è tangibile in alcuni espedienti calati nell’opera: dalle cinque inquietanti Madama Butterfly che si aggirano in platea quando le luci del teatro si spengono alla schermata su cui viene proiettato il volto dell’eroina disperata mentre fissa il mare aspettando il suo Pinkerton, che non è mai stato tale. Queste strategie cinematografiche accorciano la distanza tra palco e platea; ma il pathos è accentuato anche dall’intensità dei costumi di scena di Alessandro Lai: nel primo e in parte del terzo atto Butterfly indossa un abito rosso scarlatto, mentre il vestito accarezzato poco prima di suicidarsi non ha nulla a che vedere con la cultura giapponese, piuttosto con le donne dell’estremo sud della Turchia.
Giulio Solfrizzi
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