Al Teatro delle Muse di Ancona i coreografi curano la regia dell’opera lirica
Non c’è niente di più poetico dell’incontro tra canto e danza: da questa premessa, per la prima volta in Italia, un teatro pubblico chiama due artisti internazionali per far dialogare opera, danza e teatro. Intervista ai protagonisti
In molti paesi europei è oramai prassi che la regia di un’opera possa essere commissionata tanto a un regista propriamente detto quanto a un coreografo, basti pensare all’esperienza pionieristica della tedesca Sasha Waltz, considerata la creatrice di un nuovo genere, l’opera coreografica, a partire dal rivoluzionario allestimento di Didone ed Enea nel 2005. Nell’ottobre dello scorso anno, invece, il pubblico italiano ha potuto assistere al Teatro dell’Opera di Roma all’Alceste di Gluck nell’allestimento diretto dal coreografo Sidi Larbi Cherkaoui per la Bayerische Staatoper.
Due coreografi dirigono l’opera ad Ancona
Mai, però, un ente teatrale italiano ha avuto l’ardire di commissionare la regia di un’opera lirica a un coreografo, temendo forse le critiche dei melomani più tradizionalisti, sempre assai agguerriti. Un ardire che, invece, hanno avuto Velia Papa, direttrice artistica di Marche Teatro, e Vincenzo De Vivo, direttore artistico della stagione lirica del Teatro delle Muse, chiamando due coreografi a dirigere altrettante opere che apriranno la nuova stagione del teatro di Ancona: Luca Silvestrini cura la regia del mozartiano Die Zauberflöte, con la direzione musicale di Giuseppe Montesano; Francesca Lattuada allestisce La Tragédie de Carmen – un titolo originale e di notevole interesse, poiché si tratta della pièce che il compositore Marius Constant, il drammaturgo Jean–Claude Carrière e il regista Peter Brook trassero negli Anni Ottanta dall’opera di Bizet e dalla novella di Merimée – sul podio Natalia Salinas. Abbiamo avuto l’opportunità di porre una domanda a ciascuno dei protagonisti di questo innovativo progetto.
Intervista a Velia Papa di Marche Teatro
Quali riflessioni tanto sulle prassi concernenti l’allestimento dell’opera lirica in Italia quanto sulla pratica coreografica hanno generato l’idea di affidare la regia di due opere ad altrettanti coreografi?
Non è consueto in Italia affidare una regia d’opera a un coreografo. Una pratica invece consolidata nei teatri europei. Il Teatro delle Muse di Ancona, sede da poco meno di un decennio del Teatro di Produzione, Marche Teatro, riconosciuto dal Ministero della Cultura come TRIC, promuove, da sempre, un approccio artistico multidisciplinare. É quindi naturale ospitare ad Ancona, nell’ambito della ventunesima stagione operistica, per la prima volta in Italia, una doppia commissione d’opera a due coreografi italiani già molto conosciuti all’estero: Luca Silvestrini e Francesca Lattuada. Coreografi in grado di gestire il corpo in movimento e il canto attraverso la postura e il gesto. Si tratta certo di pensare il canto lirico come mezzo espressivo connesso all’intera fisicità dell’interprete. Una visione quindi più teatrale, che punta a una maggiore fluidità e unicità del corpo, pur nel rispetto delle regole del canto e della musica. Nella consapevolezza che non ci sia niente di più potente e poetico dell’incontro tra il canto e la danza.
Intervista a Vincenzo De Vivo del Teatro delle Muse
Il dibattito sulle modalità di messa in scena dell’opera lirica è sempre molto acceso: come si colloca in questo contesto la scelta di affidare a due coreografi l’allestimento di altrettanti titoli, fra l’altro questi ultimi di natura molto diversa l’uno dall’altro?
Oggi il problema della regia dell’opera è il tradimento della drammaturgia musicale. Troppo spesso si elude il meccanismo teatrale costruito dagli autori e si immettono contenuti incongrui e autoreferenziali. Nel nostro caso, invece, si tratta di arricchire l’approccio al meccanismo teatrale attraverso l’utilizzo di linguaggi mutuati dalla danza, dal teatro e dal cinema e da generi apparentemente lontani dall’opera ma che, in realtà, almeno in origine, avevano un comune denominatore.
La visione poetica di Silvestrini, evidente in spettacoli come Il piccolo principe, può restituire al Flauto magico una dimensione fiabesca, filtrata da una sensibilità contemporanea. La capacità di Lattuada di scandagliare il cuore del teatro tragico, colloca la Carmen novecentesca di Brook e Constantin una dimensione simbolica e sacrale.
Intervista ai coreografi Francesca Lattuada e Luca Silvestrini
Quale pensate possa essere il valore aggiunto della pratica coreografica nell’allestimento di un’opera lirica? E quale l’approccio che avete adottato rispetto al titolo che vi è stato commissionato?
LS: Credo siano la visione d’insieme, da una parte, e l’attento ed espressivo uso del corpo e dello spazio dall’altra. Come in altre coreografie/regie, l’approccio al Flauto Magico è partito dal desiderio/necessità di raccontare la storia e di farla arrivare/sentire a un vasto pubblico. Trattandosi di un’opera incredibilmente ricca di personaggi, significati, elementi narrativi e musicali, ho pensato di far succedere tutto in uno spazio essenziale e polivalente, funzionale alla messa in risalto dei diversi colori e sfumature caratteriali dei personaggi e del loro percorso emotivo.
FL: Canto e danza sono per me un unico movimento, come una foglia nel vento. Da sempre coabitano nei miei spettacoli, che si tratti di circo, musica medievale o barocca… Danza e canto si sublimano mutualmente, sono due spezie essenziali a dare rilevanza alla creazione. Nella Tragédie de Carmen l’eroina è amplificata da due stupende contorsioniste che incarneranno a volte le sue ali, le sue corna, la sua coda. Carmen è un mito, non può rimanere uno stereotipo di seduzione. Il mio orientamento darà alla tragedia una dimensione “scandalosa”, dove lo skandalon è inteso etimologicamente come qualcosa che doveva rimanere nascosto…. Ma viene a galla.
Laura Bevione
www.fondazionemuse.org
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