A 60 anni dalla tragedia del Vajont un happening teatrale per non dimenticare
Più di 130 teatri di tutta Italia, il prossimo 9 ottobre 2023, presenteranno lo spettacolo VajontS, azione corale lanciata da Marco Paolini, che 30 anni fa, con il suo potente racconto teatrale, ridiede voce alle vittime della terribile frana
Sessant’anni fa, il 9 ottobre 1963, il Friuli Venezia Giulia – e l’Italia intera – vissero una tragedia immane: dal Monte Toc si staccarono 260 milioni di metri cubi di roccia che si riversarono nella diga del Vajont, suscitando un’onda che in pochi istanti distrusse cinque paesi, causando almeno duemila vittime. Trent’anni dopo, nel 1993, Marco Paolini e Gabriele Vacis vollero tenere acceso il ricordo di quella piccola apocalisse realizzando lo spettacolo Il racconto del Vajont, mirabile esempio di teatro civile di narrazione che, grazie anche alla ripresa televisiva, fu visto e apprezzato da moltissimi spettatori. Proprio Paolini, in collaborazione con Marco Martinelli, drammaturgo e regista del ravennate Teatro delle Albe, ha riadattato quel testo e creato VajontS, quasi un “canovaccio” pensato quale base per un’azione corale di teatro civile. Ogni ente teatrale, associazione o istituzione che ha aderito al progetto, lanciato da Paolini e coordinato dal comitato promotore La Fabbrica del Mondo, potrà infatti interpretare e allestire il copione come meglio riterrà, coinvolgendo non solo esponenti di varie arti ma anche i cittadini.
Il progetto VajontS secondo Marco Paolini
Così Marco Paolini, ideatore dell’iniziativa che il 9 ottobre vedrà più di 130 teatri di tutta Italia uniti in un’imponente veglia collettiva, spiega il movente alla base di VajontS: “Quella del Vajont è la storia di un avvenimento che inizia lentamente e poi accelera. Inesorabile. Si sono ignorati i segni e, quando si è presa coscienza, era troppo tardi. In tempo di crisi climatica, non si possono ripetere le inerzie, non possiamo permetterci di calcolare il rischio con l’ipotesi meno pericolosa tra tante. Tra le tante scartate perché inconcepibili, non perché impossibili. Noi non siamo scienziati, né ingegneri, né giudici. Non raccontiamo per giudicare ma perché sappiamo che il racconto muove, attiva un algoritmo potente della nostra specie: i sentimenti, le emozioni che sono la colla di un corpo sociale. La storia del Vajont ci serve perché insegna cos’è la sottovalutazione di un rischio affrontato confidando sul calcolo dell’ipotesi meno pericolosa tra tante. A noi non viene chiesto di indicare soluzioni: ma di immaginare, raccontare e disegnare. C’è un accumulo di storie che se raccontate bene, in modo etico, possono aiutarci a immaginare l’ignoto per affrontarlo”. Ricordo, commemorazione ma anche monito per il presente, prima ancora che per il futuro.
Il 9 ottobre Paolini sarà al Piccolo di Milano, sul palco del Teatro Strehler, dove darà inizio a una sorta di “lettura a staffetta” del copione: venti narratori provenienti tanto dall’ambiente artistico – Marta Cuscunà, Marco D’Agostin, Federica Fracassi, Lino Guanciale… – quanto dalle istituzioni – a partire dal sindaco Sala – e dal mondo della cultura, cui farà da controcanto un coro di duecento cittadini guidati dall’attrice-corifea Diana Manea.
Il VajontS di Gabriele Vacis
L’altro autore del Racconto del Vajont, il regista e drammaturgo torinese Gabriele Vacis, ha scelto invece di affidare il nuovo copione ai giovani attori della Compagnia PEM. Questa l’acuta riflessione di Vacis sulla nuova contemporaneità di quel lavoro: “Negli anni in cui pensavamo al Racconto del Vajont si affermava anche la “televisione di parola”, fluviali talk show in cui si chiacchierava all’infinito; un vuoto pneumatico creato dalla massa specifica della parola teatrale si traduceva, in televisione, in un profluvio di vaniloqui che invece sottraeva peso al discorso, fino ad annullarlo. Credo che il successo, anche televisivo, del Racconto del Vajont, nascesse dalla sorpresa di una parola in equilibrio tra il senso e il suono. Il che generava un “discorso” immediatamente comprensibile. Ma dove la comprensione non era tolleranza indulgente e la comprensibilità non era facile accesso che banalizza. Credo che in questi trent’anni dal debutto dello spettacolo originale la narrazione si sia affermata come strumento per produrre tempo, e quindi realtà. Che è poi un gesto antico come il mondo. Qualche volta, soprattutto nelle parole di certi politici che intendono la narrazione come fabbricazione di verità a proprio uso e consumo, si ha addirittura l’impressione di un abuso della pratica narrativa. E in effetti quando la narrativa sia slegata dalla comprensione può produrre esiti inquietanti. Ma alla fine credo che la pratica del narrare significhi riconciliarsi con il tempo, con il succedersi delle generazioni. L’unica possibilità per uscire dalle secche della contrapposizione tra cogliere l’attimo e coltivare la memoria o progettare il futuro. Forse riconciliarsi con il tempo significa semplicemente “stare”, coltivarne la consapevolezza”.
I teatri che aderisco al progetto VajontS
Dal Teatro Bonci di Cesena, dove la messa in scena è affidata al regista e attore Michele Di Giacomo, alla Fondazione Teatro Donizetti di Bergamo, che ha coinvolto molte compagnie locali. Dal walkabout – ossia la camminata performativa – Vajonts Dappertutto. L’acquedotto che divenne casa per gli ultimi, condotto a Roma da Carlo Infante, alle azioni promosse al Teatro A. Parodi di Sassari e in Piazza di Campofiorito a Palermo. L’elenco completo si trova sul sito www.lafabbricadelmondo.org e ci piace ricordare che tutte le realtà coinvolte interromperanno l’azione alle ore 22:39, per ricordare con un istante di silenzio il momento preciso del distacco dell’immensa ed esiziale porzione di roccia dal Monte Toc.
Laura Bevione
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