Lo spettacolo di teatro danza della compagnia-cult Peeping Tom a Torino
Ha debuttato a fine ottobre a Torino S 62° 58’, W 60° 39’, l’attesissima nuova creazione della compagnia belga fondata e diretta da Gabriela Carrizo e Franck Chartier: una riflessione sul proprio percorso artistico e sul senso del fare teatro che suscita qualche perplessità…
Il complicatissimo e sibillino titolo della produzione quasi neonata – la prima è stata il 20 settembre alla Biennale de la Danse di Lione – dei Peeping Tom consiste nelle presunte coordinate GPS dell’altrettanto presunta Deception Island – ovvero, Isola della Delusione, ma anche dell’Inganno – di fronte alla quale è naufragata l’imponente barca a vela che occupa un palcoscenico immerso in un freddo ma suggestivo paesaggio antartico. L’eterogeneo equipaggio – Marie Gyselbrecht, Chey Jurado, Lauren Langlois, Sam Louwyck, Romeu Runa, Dirk Boelens – svela, però, immediatamente la natura metateatrale dello spettacolo, esplicitando come la metafora del naufragio alluda a una crisi – umana prima ancora che creativa – vissuta dalla compagnia. I sopravvissuti che si agitano fra le calotte ghiacciate rinunciano a indossare il mantello dell’artificio bensì si presentano quali performer. Non tanto personaggi in cerca d’autore, quanto, invece, artisti in cerca di risposte dal proprio regista – Franck Chartier – e, in fondo, da sé stessi.
Cosa accade nello spettacolo S 62° 58’, W 60° 39’
Una barca a vela intrappolata fra i ghiacci e le prove di uno spettacolo anch’esso incagliato: gli interpreti sono insoddisfatti e il regista pare aver smarrito la propria autorità autoriale. Romeu si rammarica di aver perso l’infanzia del figlio; Marie è stanca di ruoli da donna sottomessa e maltrattata e inneggia «Viva la vulva!», rivendicando una femminilità magari un po’ svampita e stereotipata – si presenta in scena con cagnolino da grembo di peluche – ma finalmente “tridimensionale”. Lauren vorrebbe uno spettacolo “ecosostenibile” che denunci l’estinzione di tante specie animali mentre Chey vorrebbe disperatamente “danzare”… Fallisce ogni tentativo di provare le scene ideate da Chartier che, coerenti al particolare idioletto coniato dalla compagnia in più di vent’anni di esistenza, dovrebbero mescolare grottesco e onirico, violenza e humor, danza quasi contorsionistica e visionarietà d’ascendenza cinematografica. Sipari qui soltanto accennati perché quasi immediatamente abortiti, per l’insistito e problematico interrogare dei performer, stanchi di eseguire acriticamente le indicazioni di colui che beffardamente – e, alle nostre orecchie anche un po’ affettatamente – definiscono il “Castellucci di Molenbeek”. Ecco dunque che le possibili tematiche di uno spettacolo incentrato su un naufragio – il cambiamento climatico, la violenza contro le donne, le difficili relazioni in un ristretto gruppo umano, l’approssimarsi della morte – affogano in una sorta di prolungata seduta di autocoscienza collettiva. Rimpianti personali e recriminazioni indirizzate a Chartier che, invisibile, dalla regia, interloquisce con il suo cast, accomodante al limite del paternalistico: da tutto ciò è ovviamente escluso il pubblico, finché Romeu infrange la quarta parete irrompendo in platea. Nella sua schietta ed esibita nudità, il danzatore-attore conclude lo spettacolo con un lungo e appassionato monologo intorno allo status dell’artista, fra vaghi echi artaudiani e disperato domandarsi quale sia la sua autentica identità e se, ancora, sia in grado di riconoscere e abitare la realtà – la sua ultima azione è la richiesta che qualcuno del pubblico lo accompagni fuori dal palco, nella vita vera…
Le coreografie di Peeping Tom
Un finale che, come l’intero spettacolo, suscita qualche perplessità. Certo, la maggior parte del pubblico applaude con entusiasmo – la qualità della messinscena, in tutti i suoi aspetti, è come sempre impeccabile – ma in chi, come noi, ha avuto il privilegio in questi anni di assistere a molti dei lavori dei Peeping Tom, germina un malinconico senso di fine. Non si tratta soltanto della rinuncia alla “danza” – in fondo, i performer in scena non potrebbero che essere danzatori, anche se non eseguono coreografie tradizionalmente intese – ma quel battibeccare sulle soluzioni sceniche proposte dalla regia cela un’insoddisfazione più consistente e profonda. Quel reiterare la denuncia della mancanza di idee nuove non è il querulo ritornello di un artista capriccioso bensì il deflagrante – e deflagrato – indizio di una crisi non soltanto creativa. Chartier e i suoi performer, insomma, sembrano chiedere al proprio pubblico di essere testimone della situazione di stallo in cui la compagnia è evidentemente invischiata. E se da una parte non possiamo che apprezzare l’onestà nel denunciare la propria umana fragilità, non solo di artisti; dall’altra, non possiamo minimizzare una certa velleitaria affettazione che, di fatto, impedisce quel confronto diretto e paritario con gli spettatori che il finale finge di richiedere. Usciti dalle Fonderie Limone di Moncalieri, dunque, non possiamo impedirci di domandarci se quello a cui abbiamo appena assistito sia stato forse l’ultimo spettacolo dei leggendari Peeping Tom…
Laura Bevione
Lo spettacolo sarà in scena dal 23 al 25 gennaio al Teatro di Roma
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