Arriva a teatro a Milano la Trilogia della città di K, romanzo-capolavoro di Ágota Kristóf
L’attrice Federica Fracassi e la compagnia Fanny & Alexander portano in scena, al Teatro Studio Melato di Milano, il loro imponente progetto teatrale, tratto dal romanzo più noto della scrittrice ungherese
Coraggiosa e ambiziosa è la nuova produzione del Piccolo Teatro di Milano, il cui direttore, Claudio Longhi, ha accolto la proposta dell’attrice Federica Fracassi e dei suoi “complici” Chiara Lagani e Luigi De Angelis – ovvero la compagnia ravennate Fanny & Alexander – di realizzare un adattamento teatrale di uno dei romanzi più inquieti – e inquietanti – della letteratura contemporanea europea. Trilogia della città di K., pubblicato in Italia nel 1998, è, infatti, un romanzo corposo e complesso: suddiviso in tre parti – Il Grande quaderno, La prova e La terza menzogna – riflette, pur nell’aggrovigliato sovrapporsi dei piani narrativi e dei punti di vista e nella quasi disumana desolazione di situazioni e personaggi, l’esperienza biografica della sua autrice, l’ungherese naturalizzata svizzera Ágota Kristóf (1935-2011). La condizione di rifugiato, la dissoluzione delle relazioni familiari, l’obbligo di imparare e di esprimersi in una lingua nuova – una necessità, questa, che la scrittrice descrisse con dolorosa esemplarità nel racconto autobiografico L’analfabeta – sono l’humus di una narrazione tanto chiara e sobria quanto enigmatica e perturbante. Peculiarità che Chiara Lagani, autrice dell’adattamento teatrale, e Luigi De Angelis, cui si devono regia, scene, luci e video, riescono a restituire potentemente anche sul palcoscenico.
Qual è la struttura dello spettacolo Trilogia della città di K
L’adattamento teatrale del romanzo di Ágota Kristóf ne rispecchia la tripartizione: alle tre parti corrispondono altrettanti “atti”, ciascuno dei quali caratterizzato certo da un peculiare linguaggio drammaturgico benché coesione e unitarietà siano ognora preservate, grazie, in primo luogo, all’ampio spazio scenico dello Studio Melato. La prima parte è una sorta di film: in scena, seduta a una scrivania, spesso con la sigaretta in bocca, Fracassi incarna la stessa Ágota Kristóf – la somiglianza è impressionante – intenta a scrivere il suo romanzo mentre sui numerosi schermi rettangolari che incombono sul palco scorrono le immagini dei personaggi e delle situazioni evocate dall’autrice. I video – ne sono protagonisti Fausto Cabra, Anna Coppola, Alfonso De Vreese, Giovanni Franzoni, Marta Malvestiti, Mauro Milone, Renato Sarti – riflettono dunque lo sguardo interiore della scrittrice, la sua immaginazione creativa, nutrita di esperienze realmente vissute e di oscura visionarietà, di incubi concretamente sperimentati o orribilmente sognati.
La seconda parte, invece, vede l’irruzione in scena dei protagonisti del romanzo, interpretati, oltre che da Federica Fracassi qui nei panni della bibliotecaria Clara, da Andrea Argentieri, Consuelo Battiston, Alessandro Berti, Lorenzo Gleijeses. In questo secondo atto lo sguardo è quello di Lucas che, insieme al gemello Klaus, è il motore dell’intero romanzo. Diventato adulto, abita nella città di K. dove sopravvive coltivando l’orto ed esibendosi nelle taverne, accoglie in casa una madre e il suo bambino – un enorme e conturbante pupazzo che fuoriesce da una botola – e intreccia una relazione con la bibliotecaria… Eventi e scelte che, apparentemente realistici e coerenti, celano un sottotesto narrativo al contrario rarefatto e quasi oniricamente espressionistico.
Nella terza parte, infine, gli sguardi – e i linguaggi, recitazione e video – si sovrappongono, rivelando – forse – la verità della vicenda di cui sono protagonisti i gemelli Lucas e Klaus…
La tecnica di recitazione dello spettacolo e l’architettura di Lina Bo Bardi
Luigi De Angelis racconta di aver tratto l’ispirazione per la sua “foresta” di schermi/pannelli rettangolari dall’allestimento creato dall’architetta Lina Bo Bardi per il Museo d’Arte di San Paolo del Brasile: «nel suo progetto, i dipinti di epoche diverse coesistono nello stesso spazio, sospesi, come se volassero nel vuoto, non se ne vedono i titoli, ma è il visitatore che, a seconda della propria affettività, seguendo un impulso emotivo, è attratto da un’opera o da un’altra». Allo stesso modo, il pubblico del Teatro Studio è libero di seguire quello o quell’altro degli schermi sospesi nel vuoto: una mobilità dello sguardo che interessa anche la seconda e la terza parte dello spettacolo, durante le quali gli attori si muovono in tutto lo spazio, suggerendo i diversi luoghi semplicemente spostando una sedia. Non solo, l’eterodirezione – la particolare tecnica di recitazione elaborata negli anni da Fanny & Alexander e che prevede che gli attori non imparino a memoria battute e movimenti ma li ricevano tramite auricolari durante la stessa performance – accresce la discreta ma palese incontenibilità del romanzo, la sua non riducibilità a paradigmi di incontestabile realismo.
Il progetto, nato da un’idea di Federica Fracassi e condiviso con Lagani e De Angelis, centra, dunque, con rigorosa e appassionata dedizione, l’obiettivo di ricreare sul palcoscenico il tormentato universo evocato da Ágota Kristóf, scrittrice desolatamente consapevole che l’immaginazione non è capace di curare le ferite inferte dall’esistenza bensì soltanto di “nominare” e “oggettivare” incubi e paure. L’immaginazione non consola dunque ma, come anche il teatro, permette di dare una forma e guardare negli occhi i propri fantasmi. Lo spettacolo, che si può vedere fino al 21 dicembre 2023.
Laura Bevione
www.piccoloteatro.org
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