È partita bene la nuova stagione di danza 2024 a Cremona
“Senza Confini” è il titolo della XXXIV stagione di danza del Teatro Amilcare Ponchielli: una vetrina non scontata, con spettacoli tutt’altro che “popolari” ma colmi di intelligente e sensibile spessore
“Se uno spettacolo resta legato al sogno emozionale sarebbe bene
citarlo come il ricordo di una mamma particolarmente bella e
tradurlo con la frase ‘mia madre era bellissima’ passando oltre”
Così scrisse Patrizia Vicinelli. La poetessa visiva (Bologna, 1943-1991), entrata giovanissima nel Gruppo 63 e i cui manufatti fonetici restano esposti in molti musei internazionali, possedeva un acutissimo sguardo critico. Per lei il teatro era progetto produttore di senso possibilmente articolato in un linguaggio di ricerca. Fa piacere osservare come una stagione di danza in una città musicale come Cremona (Festival Monteverdi, Stradivari e la sua Scuola per citare solo le eccellenze urbane) si attenga a un criterio opposto a quel sogno emozionale irriso dalla Vicinelli, ma oggi purtroppo assai comune in un mercato della danza tendente al facile flirt con il pubblico.
L’anteprima con Nicola Galli a Cremona
Nell’anteprima di gennaio, al Teatro Ponchielli, riservata al rapporto tra danza e musica – Nicola Galli e Rodrigo D’Erasmo in Sconfinamenti – e nella chiusura in maggio che persegue il medesimo intento – la Socìetas/Claudia Castellucci con la sua Compagnia Mòra in La nuova abitudine – ci siamo imbattuti e ci imbatteremo in due raffinati progetti di ricerca. Il trentaquatrenne Galli, da Ferrara, dialoga con il violinista e polistrumentista di origine brasiliana D’Erasmo, in uno spazio vuoto, ove mutano solo le luci, talvolta azzurrine in sintonia con la cresta di capelli del danzatore-coreografo, talvolta accese in caldo arancione o rosso. La ben nota flessuosità dell’esile Nicola lo aiuta a disegnare nello spazio un percorso di continuo avvicinamento e allontanamento dal suo interlocutore musicale, cui spetta dettare il saliscendi di una musica ora fredda ora accesa e anzi a sorpresa turbata sotto il suo piede destro da percussioni elettroniche.
La diagonale che conduce il danzatore in larghi pantaloni e succinta maglietta sin quasi a ridosso del polistrumentista non cambia, come non muta gran parte del movimento: le braccia levate al cielo, la gestualità misurata ed evasiva inducono a una sorta di magica ipnosi nell’osservatore, scossa da improvvisi scivoloni a terra. Ciò che appare improvvisato in questi Sconfinamenti non lo è per nulla, a riprova di una sapienza compositiva dell’autore di Ultra e del divertente e interattivo Genoma scenico, che gli vale anche per l’anno in corso un bel numero di recite e di nuove residenze artistiche. Tuttavia l’eleganza e la precisione del danzatore/coreografo dovrebbero cedere, a nostro avviso, quel pizzico di egotismo che nel tempo sembra essersi incrostato sulla sua pelle; nel dialogo tra danza e musica vince, per millesimi, la naturalezza del musicista, membro della band degli Afterhours.
Lo spettacolo di Claudia Castellucci a Cremona
La nuova abitudine non è un duetto ma una pièce di ampio respiro. Debuttò nel silenzio e nel mistero spirituale della basilica paleocristiana di San Vitale allo scorso Ravenna Festival. Qui Claudia Castellucci, Leone d’argento alla Biennale Danza 2020, fece sfilare dapprima In Sacris di Santa Sofia, il coro bulgaro che s’inerpica sul canto Znamenny, nato in ambito slavo tra Bulgaria, Ucraina e Russia, poi i sei interpreti di Mòra, la sua compagnia. Formidabile innesto di antiche tracce bizantine, visionario ricordo d’Imperi romani d’Occidente e d’Oriente di cui Ravenna è stata fulcro e capitale, la pièce, che giungerà nella Chiesa di San Michele per il Ponchielli, è un rito e una liturgia: nella misura del canto e nella raffinatezza sobria dei costumi bianchi e neri dalle maniche a svolazzo e dai grembiuli pieghettati, già riassume una nobiltà umile, popolare. Le braccia si distendono per offrire il corpo sull’altare maggiore, o si piegano raccogliendo teste dolenti, le gambe si aprono a compasso o fuggono in salti e saltelli intrecciati lungo il perimetro della chiesa. L’“abitudine” del titolo diventa “nuova” quando gesti robusti e di lotta squarciano l’aria. Se il canto Znamenny ha ancora a San Pietroburgo il suo centro formativo, la guerra in atto blocca l’entrata e l’uscita dalla Russia dei cantanti e talvolta censura anche questo prezioso dialogo tra Ovest ed Est che tanto ci ricorda Les Noces (1923) di Bronislava Nijinska, la sorella del grande Vaslav Nijinskij, nella sua struttura rigorosa e quasi costruttivista.
A tutt’oggi i successi della compagnia Mòra, nata nel 2009, sospesa e risorta nel 2019 con lo stesso nome, equivalente alla più piccola pausa in musica secondo Sant’Agostino d’Ippona – con cui la Castellucci conserva da tempo una zelante frequentazione -, sono in crescita, a riprova che tra i “sogni emozionali” italiani s’infilano anche progetti di altissimo spessore. A metà percorso, in aprile, un altro Leone della Biennale Danza (2022) questa volta d’oro e giapponese, svetta nella vetrina Senza Confini di Cremona: è Saburo Teshigawara con la prima italiana di Ophelia. Da non perdere.
Marinella Guatterini
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