Se il teatro si fa in una camera d’albergo. Lo spettacolo Do not disturb a Caserta
Do not disturb è il titolo della performance in scena in un hotel di Caserta, invitando così gli spettatori a spiare la naturalezza della vita
Quando Paola entra nella stanza n. 526 dell’Hotel dei Cavalieri di Caserta e butta borsa e chiavi sul letto mentre Gennaro la segue a ruota, in piedi e i due parlano tra di loro come se nessuno li vedesse, la prima domanda che mi faccio d’istinto è “ma dove mi trovo?” In albergo ci passo buona parte del mio tempo, sono spazi che conosco al millimetro, ma è un tempo da ospite, transitoria, provvisoria, soprattutto con la certezza sacra della solitudine. Per una volta no: alle sette di sera di un sabato di marzo, me ne sto seduta con altre venti persone su un’immaginaria platea allestita dentro una camera d’albergo, dopo l’imbocco del corridoio, di fronte al letto, un paio di noi stanno seduti proprio a fianco al letto, che per tutto il tempo dello spettacolo mi chiedo, “chissà quei due che prospettiva vedono da lì”.
Cosa avviene e come si svolge lo spettacolo Do not disturb
Paola, nella vita, è Ilaria Delli Paoli, Gennaro è Roberto Solofria. In scena sono fratello e sorella che incarnano il fratello e sorella che potremmo essere tutti noi nel quotidiano campare: battibeccare, ridere, nel comune rinfacciarci responsabilità e sentimenti. Quando entra in camera anche Armando (Antimo Navarra), trolley giallo e abito blu scuro, la triade dei fratelli si completa e la pièce matura il meglio nella forza dei numeri dispari.
Sono convinta che, come me, il pubblico muova gli occhi da sinistra a destra, da destra a sinistra, ancora da sinistra a destra; siamo talmente attaccati agli attori, e quasi parte della scena, che tutto ci arriva addosso, non serve spostare la testa come capita a teatro quando la visuale scompare.
Nella rielaborazione dell’originale Do not disturb – Il teatro si fa in albergo, Check-out: l’amore non ha età è firmato da Mutamenti/Teatro Civico 14 di Caserta, un esercizio di realismo che dura quarantacinque minuti con tre blocchi da quindici: gli spettatori vengono prima invitati ad accomodarsi nella 526 partendo tutti insieme dalla hall, poi ad alzarsi per vedere come prosegue la vicenda tra le quattro pareti della 525, infine tornano nella prima stanza per ricomporre un ordine e trovare un finale alla storia di famiglia.
Sentire applausi da teatro che risuonano in una camera d’albergo fa un certo effetto ed è un bell’effetto. Non mancano le maschere a guidare il pubblico nel trovare posto, salire e scendere in ascensore, spiegare cosa fare tra un atto e l’altro, spegnere i cellulari, invitare a non usare il flash. I dialoghi si muovono sul tappeto di un napoletano che si fa lingua e traduttore al tempo stesso, gli scambi rapidissimi non offrono inciampi, mai sopra le righe, incalzanti, generosi. Il pubblico lo sente se uno spettacolo va verso di lui.
Antimo Navarra, oltre che “fare” Armando, ha scritto i testi: “Questo è un teatro che vive sul territorio e la prima esigenza della scrittura è allora quella di non tradire il legame con le persone attraverso la lingua”, spiega. Si ride, tanto, dentro l’Hotel dei Cavalieri di Caserta e non è la classica trovata per fare colpo e finire sui giornali: è arte di prim’ordine quella dei tre attori della Compagnia Mutamenti che da quindici anni lavora su Caserta, non è voglia di stupire e andarsene.
Com’è nato e come si è sviluppo il progetto teatrale in albergo
“Do non disturb nasce nel 2014 da un’idea dirompente del Nuovo Teatro Sanità di Napoli grazie a Mario Gelardi e Claudio Finelli. Noi da quel momento curiamo il progetto per l’area casertana e lo ambientiamo all’Hotel dei Cavalieri che è sponsor di stagione, per cui abbiamo un rapporto diretto per studiare al meglio l’ambientazione e la resa”, mi spiega Ilaria Delli Paoli una volta raggiunti gli attori nella stanza a fianco. “L’idea originaria per gli hotel di Napoli era la stessa che portiamo avanti noi: fare in modo che il pubblico abbia la sensazione di spiare da dentro la stanza, essere invisibili e presenti al tempo stesso. Ogni anno portiamo avanti storie diverse e intrecci diversi, qui a Caserta preferiamo lavorare sulla commedia divertente anche se in passato ci siamo mossi su testi più impegnati”, aggiunge Roberto Solofria. Penso a quanto sia difficile per gli attori, muoversi dentro spazi tanto ridotti, con le persone in prima fila a pochi centimetri: “siamo abituati a lavorare negli spazi ridotti del nostro teatro piccolo qui a Caserta, una settantina di posti, ma avere le persone così addosso è un’altra cosa, ci sembra siano attori anche loro, a volte capita persino di scambiarci una battuta per quanto poi sentiamo parte della scena. È molto più complicato, chiede tanta concentrazione in più”. Apprezzo l’onesto parlare di Ilaria Delli Paoli che mi confessa il disagio provato all’inizio, le luci di una stanza d’albergo a fare scenografia, la poca libertà di movimento, nessun margine tra lei e un pubblico sconosciuto: “A un certo punto ci prendi confidenza e cresci pure tu come attore”.
In ascensore trovo una signora sui sessanta, dialetto veneto, è chiaramente un’ospite: le chiedo se sa che fino al giorno dopo potrebbe andare a teatro anche in albergo, all’inizio non capisce, le spiego, si rammarica di ripartire la mattina dopo e di essere bloccata per cena col gruppo di viaggio. Però va a chiedere. Sarà semmai per un’altra volta, al prossimo check in.
Stefania Zolotti
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