Storia della più famosa burattinaia italiana e della sua casa delle meraviglie a Roma
Cresciuta tra artisti e letterati, Maria Signorelli ha inventato l’Opera dei Burattini, animata da un incredibile talento nel creare personaggi fantastici. Sua figlia, Giuseppina Volpicelli, ne ha ereditato il mestiere e nella sua casa romana custodisce un tesoro
“Maria Signorelli anima anche gli oggetti e tutto ciò che può servire per comprendere meglio il personaggio. Nel Faust, guardate Margherita, mentre si riduce a un fantasma: viso scomparso, di cenere, braccia conserte”. Le parole sono di Giuseppe Ungaretti, che nel 1933 scrive l’introduzione al catalogo della mostra d’arte organizzata a Firenze dal quotidiano La Nazione. In “scena” ci sono i fantocci realizzati da una giovanissima Maria Signorelli, reduci dal successo parigino alla Galleria Zak: “Novantuno caratteri vivi innanzi ai nostri occhi, parlanti, indimenticabili”, commenteranno entusiasti i recensori dell’epoca. Nata a Roma nel 1908, Signorelli sarebbe diventata, nel giro di una decina d’anni, la burattinaia di fama internazionale che oggi è ricordata come una personalità chiave del teatro di figura italiano.
Maria Signorelli, l’arte e il teatro
La passione di Maria per il disegno, il colore, il movimento – quella sensibilità rara di immaginare una seconda vita per oggetti di uso quotidiano, trasportandoli in un mondo di fantasia – era maturata già nei primi anni di vita. Figlia di Olga Resnevic, traduttrice di diversi capolavori della letteratura russa e amica di artisti e uomini di teatro, e Angelo Signorelli, tra i primi collezionisti italiani di arte moderna, crebbe nel salotto artistico e letterario che si costituì nel primo dopoguerra attorno a sua madre, nella casa romana di Via XX Settembre frequentata, tra gli altri, da Tommaso Marinetti (nel 1939 l’autore del Manifesto Futurista sarà pure testimone di nozze di Signorelli, nel matrimonio con il pedagogista Luigi Volpicelli), Luigi Pirandello, Sibilla Aleramo. Quando aveva appena otto anni, fu lo scenografo russo Sergej Djagilev a regalarle i primi colori: all’epoca, la possibilità di assistere alla realizzazione delle scenografie per il Teatro dell’Opera imprime nel suo immaginario di bambina il desiderio di diventare costumista e scenografa. Sempre animata, dal primo incontro con il teatro e per tutta la vita, dall’intenzione di trasformare in evento spettacolare quanto la circondava. “Il sarto e il costumista sono come il medico”, scriverà in una pagina del suo diario, a proposito della loro capacità di creare un uomo nuovo, vestendo l’attore con il personaggio da interpretare. Costumista e scenografa, Maria Signorelli lo diventerà per davvero, perfezionandosi nell’alveo del teatro sperimentale di Anton Giulio Bragaglia, alla fine degli anni Venti, mentre prendevano forma i primi fantocci, creati con nastri, stoffe e oggetti di recupero (la prima idea di fantoccio, però, risale al giorno della maturità, quando al cospetto della commissione d’esame Maria visualizza il personaggio de L’Idiota, e corre via, letteralmente, per realizzarlo). In parallelo maturava la riflessione sull’evoluzione del teatro: a Berlino, Signorelli aveva scoperto il teatro moderno di Brecht e Kurt Weil, fatto negli scantinati, nei caffè; rientrata in Italia, presentò con Carlo Rende il modello di un nuovo palcoscenico, il Pluriscenico M, cercando soluzioni per sopravvivere all’affermarsi del cinema. Il 1937 fu l’anno dell’inaugurazione del Teatro delle Arti di via Sicilia, ma anche della mostra sulle donne artiste d’Europa al museo Jeu de Paume di Parigi: tra loro, anche Maria Signorelli.
Maria Signorelli e l’Opera dei Burattini
Solo nel secondo dopoguerra, nel 1947, invece, prenderà ufficialmente forma l’Opera dei Burattini, maturata anche sugli spettacoli realizzati durante la guerra, in casa o grazie a un teatrino itinerante, per portare un po’ di ristoro alla popolazione provata. Tra i piccoli spettatori dei primi spettacoli ci sono anche Giuseppina e Maria Letizia Volpicelli, le figlie di Maria. Entrambe seguiranno le orme materne. È Giuseppina, oggi, a racchiudere nel libro Piccoli personaggi, grandi incanti (Giunti, 2023. Presentazione giovedì 11 aprile alle 17 presso la Biblioteca Vallicelliana di Roma, con ingresso libero) queste vicende di vita professionale e familiare che si intrecciano alla storia del teatro di figura e restituiscono la dimensione di un secolo di grande vivacità artistica e intellettuale. E la casa di via Corsini, dirimpetto all’Orto Botanico, dove la famiglia si trasferì negli anni Trenta, conserva memoria dei tempi che furono: Giuseppina – che iniziò a muovere i burattini negli spettacoli di Maria, fino ad assumere la direzione artistica del Teatro Verde di Roma dal 1980 al 2001, girando il mondo in numerose tournée, dalla Cina all’America, dalla Russia all’Egitto – se ne è fatta custode, e convive con fantocci, marionette, burattini, foto d’epoca, bozzetti per scenografie, manifesti.
Giuseppina Volpicelli e il mestiere del burattinaio
Una raccolta di circa 5000 pezzi, dal XVIII al XX Secolo, che ha esposto in diverse mostre (un’altra parte della collezione è esposta, in modo permanente al Centro Podrecca – Maria Signorelli di Cividale del Friuli). Maria Signorelli, infatti, è stata anche collezionista: “Nel 1959 acquistò le marionette di Vincenzo Podrecca, che era stato un innovatore. Con il trasferimento di molti marionettisti in America, la collezione rischiò di andare perduta, alcuni pezzi mia madre li scovò in vendita a Porta Portese. Volle salvarli tutti”, ricorda Giuseppina. Che si fa seria quando spiega il valore e i segreti del mestiere: “Sbaglia chi pensa che fare il burattinaio sia un lavoro facile. È necessario avere senso del ritmo, memoria, prontezza di riflessi, capacità di interagire con gli altri attori, resistenza fisica, ma soprattutto grande progettualità. Io individuo subito un vero burattinaio: il burattino non deve guardare per aria, il polso dev’essere sempre rivolto verso il basso. E per l’uscita di scena c’è la convenzione di scendere una scala”.
Sono i ricordi e l’esperienza di una vita intera, dalle prove interminabili spiate da bambina, nel teatro-laboratorio allestito da Maria all’ultimo piano di via Corsini, alla tournée nei Paesi Scandinavi con gli spettacoli di burattini musicati rivolti a un pubblico di adulti, all’impegno degli Anni ’70, in pieno fervore femminista, che porterà all’ideazione dello spettacolo Biancaneve chi la beve (testi di Barbara Alberti a Viveca Melander, burattini di Maria Signorelli).
L’armadio dei burattini nella casa romana di via Corsini
Ma a parlare sono anche gli oggetti affastellati nella casa-scrigno romana che ha visto passare, come affittuari, anche Tennessee Williams e una giovanissima Sophia Loren: “Conservo molte cose costruite da mia madre, che dal niente creava personaggi fantastici… Tre gufi fatti con degli spolverini, bottoni e palline per gli occhi. Lei non sapeva costruire marchingegni, realizzava cose molto artigianali. Cuciva, lavorava a maglia. Gli occhi erano sempre grandi, perché dovevano catturare l’attenzione da lontano. E sotto a ogni burattino c’è sempre il buratto, la camicia: il termine deriva da burattare, l’operazione con cui si separa lo scarto della farina”. In salotto, una ballerina dalle gambe di pezza affusolate e lunghissime, con i capelli ricavati da un ritaglio di stoffa floreale, racconta un’altra storia: “Negli Anni ’60 mamma era spesso ospite in Rai, voleva rappresentare in tv un Minuetto e ideò questa ballerina. Ma le gambe erano troppo scoperte per il tempo, le fu chiesto di realizzare una gonna più lunga, e lei all’ultimo inventò un espediente per salvare l’esibizione”. Non troppo distante, seduto sullo schienale di un divano in velluto a righe verticali, sta la marionetta di Pinocchio che fu di Vincenzo Podrecca. Ma è al piano superiore che si scopre il vero tesoro di Maria Signorelli, l’armadio dei burattini che riunisce centinaia di creazioni della burattinaia, tra dame e cavalieri, principesse e fantasmi, maghi, saraceni, sciantose, figure fantastiche: decine e decine di personaggi, costruiti dagli anni ’40 ai ’90 (Signorelli morirà nel 1992) per 159 allestimenti diversi, tra spettacoli di danza, fiabe, filastrocche, rielaborazioni di testi classici e invenzioni inedite. Dalla tipologia a guanto, che favorisce l’espressività, ai burattini a bastone, che hanno le gambe libere e possono danzare con più facilità. Molti hanno volti spigolosi e scavati, tipici di un’estetica mutuata dalle Avanguardie del Novecento che Signorelli aveva respirato in giovane età.
Immersa nel suo favoloso mondo, Signorelli non perse mai il rapporto con la realtà: al 1955 risale la creazione di una cattedra di Teatro dei burattini, a L’Aquila, per bambini e adulti, fondata sul valore pedagogico degli spettacoli. Negli stessi anni, la burattinaia si reca all’Accademia di Arte Drammatica Scharoff per intercettare allievi di teatro volenterosi di fare palestra con i burattini. Tra loro anche Lina Wertmuller, che curerà diverse regie per L’Opera dei Burattini: “Tutti volevano lavorare con lei, che ha collaborato con attori, compositori e scenografi di grande fama, con personalità come Gianni Rodari ed Ennio Morricone”. E alla storia si iscrive anche Carlo Verdone (autore della prefazione del libro), che approdò alla “scuola” dei burattini negli anni Settanta, prima della grande notorietà: dando vita al presentatore di pezza Pippo, l’attore e regista romano sviluppò il talento per le imitazioni e la capacità di interpretare i personaggi più disparati che l’avrebbero portato alla ribalta poco più tardi.
Livia Montagnoli
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