A Broadway arriva un musical sulle suffragette. Che “addomestica” una rivoluzione
Un dato indicato anche dalla “strana coppia” di producer, l'ex segretaria di Stato americana Hillary Clinton e la premio Nobel per la Pace Malala Yousafzai
Bastano le buone intenzioni ad appianare i contrasti apparentemente più insanabili? E basta, ancora, tingere di rosa un messaggio per renderlo davvero femminista? È quello che si sta chiedendo il pubblico americano al lancio a Broadway del nuovo musical sulle suffragette Suffs. Una storia che dovrebbe ispirare donne e uomini a far valere il radicale sacrificio delle protester, ma che dietro il sipario rivela lo sgradevole “back side” delle produzioni in tutta la sua ipocrisia.
Suffs, il nuovo musical sul suffragio femminile
Suffs ripercorre la campagna delle donne per il diritto di voto negli Stati Uniti dal 1913 fino alla ratifica del 19° emendamento nel 1920. Libro, musica e testi sono di Shaina Taub, che ha iniziato a lavorare al progetto dieci anni fa e qui interpreta una delle leader del movimento, Alice Paul. Presentato nel 2022 Off Broadway al Public Theatre, è stato parzialmente riscritto prima di arrivare a Broadway a marzo 2024. La piéce a tema femminile è salita quindi agli onori del teatro “di prima classe” in un periodo in cui l’interesse del pubblico per queste storie è cresciuto molto, basti vedere casi cinematografici come Barbie o C’è ancora domani. E un buon successo sembra già profilarsi per Suffs: la settimana prima dell’apertura, riporta il New York Times, lo spettacolo si era già classificato tra i primi 10 (su 36) per percentuale di posti occupati. Un segnale interpretato come di buon auspicio, dagli organizzatori, nell’anno delle elezioni presidenziali.
Il team di producer di Suffs e le ipocrisie
Oltre al cast, ovviamente molto femminile e di grande prestigio, Suffs vanta anche molte più donne del solito dietro le quinte: il principale team di produttori è tutto al femminile. Con alcune bizzarrie: tra le producer, infatti, sono presenti sia l’ex segretaria di Stato Hillary Clinton sia Malala Yousafzai, attivista pakistana 26enne e vincitrice del Premio Nobel per la pace nel 2014. Particolarmente forte e rivelatorio, come accostamento, se si considera che la prima è una convinta guerrafondaia (da Haiti alla Siria) ed è stata accolta come “criminale di guerra” a un evento organizzato a febbraio da Cinema for Peace a Berlino per la sua complicità nella guerra di Israele su Gaza – accusa supportata dalle affermazioni della stessa nei mesi precedenti –, mentre la seconda ha assistito allo spettacolo di debutto indossando una spilla rossa con una mano e un cuore nero, sostegno al cessate il fuoco. Una giustapposizione stridente, che sembra rimarcare come le rivoluzioni siano bipartisan solo se relegate al passato, e che la giustizia può diventare “di troppo” se di mezzo ci sono accordi commerciali. Una addomesticazione e un tradimento, quindi, della lezione del femminismo, che viene qui inscatolata a un tempo concluso e a un ambiente circoscritto, e di cui viene comodamente accantonata l’intersezionalità politica, razziale e di classe per rendere il tutto “più digeribile”.
Giulia Giaume
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