Teatro, opera lirica e arti visive. Intervista alla compagnia Muta Imago
Una compagnia teatrale rivolta alla sperimentazione e alla contaminazione tra arti diverse. Non c’è solo recitazione, ma anche luci ed effetti visivi d’impatto: un’idea di teatro alternativa tutta da scoprire
La compagnia romana, da sempre vocata alla contaminazione dei linguaggi, è in tournée con la sua suggestiva lettura di Tre sorelle di Cechov e, intanto, lavora a nuovi progetti, contrassegnati dalla costante volontà di sperimentazione.
Muta Imago è una compagnia nata a Roma nel 2006 e guidata dalla regista Claudia Sorace e dal drammaturgo e sound artist Riccardo Fazi. In questi anni, la coppia, in collaborazione con gli artisti coinvolti nei vari lavori, ha investigato le diverse forme di arti dal vivo – il teatro, la performance, il teatro musicale, la radio – e indagato il rapporto fra l’essere umano, il suo tempo e il suo sentire. Cogliendo lo spunto del loro recente spettacolo tuttora in tournée, Tre sorelle, e dell’opera lirica – Alfred, Alfred – La serva padrona – che ha appena debuttato a Reggio Emilia, abbiamo parlato con la regista Claudia Sorace dei loro progetti passati e futuri.
Intervista a Muta Imago. Lo spettacolo “Tre Sorelle”
Partiamo dal vostro ultimo spettacolo, Tre sorelle, che prosegue in questi mesi il suo viaggio – il 22-23 giugno sarà alla Biennale Teatro – dopo il debutto dello scorso anno.
Tre Sorelle è l’ultimo esito di un percorso di ricerca sul rapporto tra tempo, identità e performance che stiamo portando avanti da anni. In questo senso è come se facesse incontrare tutti i segni, le scoperte, le visioni che abbiamo incontrato in questo tempo di indagine: il risultato è un condensato, un potentissimo distillato narrativo ad alta densità emotiva. Credo che siamo riusciti a raggiungere un equilibrio perfetto tra desiderio di racconto, di narrazione e la dimensione più propriamente performativa che appartiene al nostro linguaggio.
In che modo siete intervenuti sul testo di Cechov, conservandone comunque lo spirito e la sensibilità?
Abbiamo creato uno spazio riverberante per le parole di Cechov, cercando di essere vicini alla dimensione profondamente, disperatamente, umana di questo testo. Ci siamo messi in ascolto delle voci delle tre donne protagoniste, Masa, Olga, Irina, che ci parlano potentemente a distanza di più di un secolo di desiderio, di rivoluzione, di amore.
Quali sono gli aspetti del lavoro che, secondo voi, stanno maggiormente coinvolgendo il pubblico?
C’è, ovviamente, una forte componente immersiva che caratterizza lo spettacolo: credo che il pubblico si senta letteralmente attraversato dai segni in scena: penso al disegno luci di Maria Elena Fusacchia; alla partitura sonora interamente realizzata dal vivo da parte di Lorenzo Tomio; alla straordinaria e drammatica fisicità delle tre protagoniste, Monica Piseddu, Arianna Pozzoli, Federica Dordei. É uno spettacolo catartico, commovente, che crea lo spazio e il tempo perché una comunità di persone possa riconoscersi ed entrare in risonanza con le emozioni espresse sul palco. La cosa più bella è vedere le persone commosse venirci incontro dopo gli applausi e ringraziarci per quello che hanno provato.
Le intersezioni tra teatro e arte visiva secondo Muta Imago
La vostra drammaturgia da sempre contiene elementi indubbiamente “visivi”: quali sono secondo voi le possibili intersezioni fra performance e arte visiva?
Abbiamo sempre considerato la dimensione visiva come essenziale in teatro, non a discapito delle altre (testo, suono, recitazione…), ma in profonda relazione drammaturgica con esse. Allestire uno spettacolo per noi significa ogni volta creare un mondo che prima non esisteva, un universo con le sue proprie leggi, i suoi segni e le sue dinamiche, che le/i performer vengono invitate/i ad abitare per poterne attivare il potenziale. La scena vuota è pura energia potenziale, i segni visivi che vi vengono prodotti sono energia in movimento, drammaturgia (da drama-ergon, messa in movimento del dramma).
Come svilupperete questa relazione in futuro?
Non possiamo ancora dire molto del prossimo progetto, se non che toccherà un evento la cui dimensione visiva nel corso del ‘900 è diventata profondamente e paurosamente iconica.
Al momento siamo ancora concentrati sulla tournée di Tre sorelle, che tornerà al Teatro India di Roma a dicembre, ma che prima porteremo alla Biennale di Venezia a fine giugno. E in quell’occasione terremo anche un workshop per performer che attraverserà le tematiche e gli spunti di ricerca che abbiamo fatto confluire nel lavoro.
Inoltre, stiamo lavorando alla messa in scena dell’opera Alfred, Alfred – La serva padrona, che ha debuttato il 24 maggio al Teatro Ariosto di Reggio Emilia. Il rapporto con il linguaggio della lirica ci interessa molto e lo stiamo strutturando in maniera sempre più continuativa nel tempo. In tutti i nostri lavori, uno dei punti di forza è proprio la drammaturgia musicale e sonora e il suo rapporto con la drammaturgia scenica e visiva.
L’opera Alfred Alfred – La serva padrona di Muta Imago
Parliamo proprio del debutto dell’opera Alfred Alfred – La serva padrona di cui tu, Claudia, curi la regia. Quale idea ha guidato il vostro allestimento?
Alfred, Alfred e Serva Padrona sono due opere molto diverse fra loro. Sono però entrambe innervate di una comicità allo stesso tempo fisica e surreale, pur restando profondamente diverse per epoca, linguaggio, ambientazione e molti altri aspetti. La prima è stata composta nel 1995 da Franco Donatoni, sulla base di una sua esperienza autobiografica: il ricovero in un ospedale in Australia per un improvviso coma diabetico. La serva padrona è un intermezzo buffo di Pergolesi, rappresentato per la prima volta nel 1733, che negli anni ha ottenuto un grandissimo successo, soprattutto in occasione della ripresa a Parigi del 1752, che suscitò gli entusiasmi degli illuministi francesi pre-rivoluzione.
In che modo hai lavorato all’allestimento delle due opere?
Come faccio sempre quando lavoro nell’opera, prima di iniziare a immaginare alcunché, passo un lungo periodo ad ascoltare i lavori. Li ascolto di seguito, a ripetizione, senza pause, per giorni interi, senza prendere appunti, senza immaginare nulla, finché di fronte a me non si apre un paesaggio. Credo che, in fin dei conti, il ruolo della regia nell’opera sia soprattutto questo: ascoltare e, attraverso l’ascolto, entrare in relazione con il racconto sonoro che la partitura già contiene in sé. Questo, per comprenderne le caratteristiche, le dinamiche, i mondi visivi e narrativi che prevede e che in quanto tali vanno rispettati, amplificati, fatti entrare in relazione con urgenze che siano sì attuali ma contemporaneamente senza tempo.
Nel caso di Alfred, Alfred e Serva Padrona quali sono state le suggestioni frutto di questo ascolto?
In questo caso, l’ascolto mi ha suggerito una presenza sottile, che attraversa entrambi i lavori e che li vena di una strana malinconia nascosta: un filo rosso che parla della finitezza delle nostre vite, della paura della fine, dell’inadeguatezza della ragione di fronte a forze ben più potenti, come la passione e la morte. È su questa linea di indagine che fin dal primo momento ho cercato la possibilità di un incontro, rintracciando i punti che questo filo rosso toccava, ma allo stesso tempo lavorando sulla trasformazione di stile e di linguaggio come se fosse un valore pieno di senso.
Laura Bevione
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