A Genova torna in scena il testo-scandalo Equus dell’inglese Peter Shaffer
Carlo Sciaccaluga ha diretto allo Stabile di Genova un nuovo allestimento del dramma che al suo debutto – in Inghilterra come in Italia - suscitò scandalo per le scene di nudo e per la tematica morbosa

Assai aspre furono le polemiche che, nel 1973, accompagnarono a Londra la prima di Equus, dramma scritto da Peter Shaffer (lo stesso autore del celeberrimo Amadeus) e portato in scena dalla compagnia del National Theatre all’Old Vic. Scandalo suscitarono tante le scene di nudo integrale maschile quanto il tema, peraltro ispirato all’autore da un fatto di cronaca. Nel 1975 Marco Sciaccaluga ne diresse per lo Stabile di Genova una filologica versione italiana, di cui erano protagonisti Eros Pagni e Giovanni Crippa. Dopo cinquant’anni è il figlio del regista, Carlo, a riportare in scena, ancora a Genova, quel testo, offrendone, però, un allestimento più “snello” e contemporaneo ma ancora conturbante.
Qual è la trama di Equus
Nelle note alla prima edizione del testo, Shaffer raccontò di aver concepito l’idea del suo play dopo che un amico gli aveva raccontato uno sconcertante avvenimento di cronaca: “un crimine allucinante, che mancava di una spiegazione coerente e aveva profondamente scosso i magistrati dell’epoca. Era accaduto in una fattoria nelle campagne londinesi, commesso da un ragazzo squilibrato. Il resto, ogni personaggio e ogni situazione sono una mia personale, eccetto il crimine in sé stesso: e anche questo l’ho modificato in accordo con quello che ritengo essere accettabile in una dimensione teatrale.” In scena c’è dunque lo psichiatra Martin Dysart, incaricato dalla giudice minorile Ester Salomon di occuparsi del giovane Alan Strang, colpevole di aver accecato senza motivo apparante sei dei cavalli della scuderia presso cui lavorava. Il medico, inquieto e insoddisfatto dietro la facciata di rigorosa professionalità, indaga l’inconscio del ragazzo, interrogandone anche i frastornati genitori. Il quadro che man mano si delinea è quello di un adolescente cresciuto in un ambiente opprimente, bigotto e sessuofobo; un giovane teledipendente e incapace di riconoscere e dare sano sfogo alle proprie pulsioni e al proprio desiderio. Nel finale lo psichiatra riesce a far emergere il sofferto inconscio di Alan ma, ammonisce Shaffer, non si tratta che di una “liberazione” puramente momentanea ché la società assai poco si confà alla fragilità psicologica del ragazzo.








Le versioni teatrali e quella cinematografica di Equus
Dopo la “scandalosa” prima londinese del 1973, Equus viaggiò oltre l’Atlantico per approdare a Broadway in un allestimento di cui erano originariamente protagonisti Anthony Hopkins (Dysart) e Peter Firth (Alan), sostituiti poi, rispettivamente, da Anthony Perkins – e per un certo periodo da Richard Burton – e da Tom Hulce. Lo spettacolo si aggiudicò nel 1975 il Tony Award come migliore opera teatrale.
Il testo di Shaffer ha avuto da allora altre messe in scena: particolare risonanza ebbe, nel 2007, quella diretta dalla britannica Thea Sharrok che vantava, nella pruriginosa parte del tormentato adolescente, Daniel Radcliffe, l’ormai ex ragazzino magico Harry Potter, allora appena diciassettenne e impegnato in scena anche in un contestato nudo integrale, affiancato, nel ruolo dello psichiatra, da Richard Griffiths che, nella saga cinematografica, interpretava suo zio Vernon…
Nel 1977, invece, lo stesso Shaffer adattò il suo dramma per il cinema, collaborando con il regista Sidney Lumet, che diresse, nel ruolo dei due protagonisti, quei Peter Firth e Richard Burton che già avevano interpretato le parti a teatro. Accanto a loro un cast di prim’ordine, composto da Eileen Atkins, Colin Blakely, Joan Plowright e Jenny Agutter.
L’Equus di Carlo Sciaccaluga
A differenza dell’allestimento del 1975, fedele alla versione originale inglese – che, fra l’altro, prevedeva la costante presenza in scena di tutti i personaggi e di un coro di “cavalli” composto da attori avvolti in tute marroni e con in testa una non mimetica testa equina – quello ideato da Carlo Sciaccaluga – anche autore di una nuova traduzione che rivede e riadatta quella realizzata allora dal padre Marco – punta a una maggiore concentrazione e a una pregnante essenzialità.
Il cast di Equus
Eliminato il coro – evocato soltanto nel finale, allorché gli attori indossano giacomettiane maschere da cavallo per accompagnare la disperata confessione di Alan allo psichiatra – il regista approfondisce il ritratto dei personaggi, attribuendo a ciascuno una solida e sfaccettata individualità. Uno scavo psicologico che si traduce in dialoghi eloquentemente densi ed emotivamente schietti, grazie anche all’inventiva professionalità di tutto il cast – a partire dal navigato Luca Lazzareschi nella parte di Dysart e dal talento già maturo del giovane Pietro Giannini come Alan, per proseguire con Paolo Cresta, Pia Lanciotti, Camilla Semino Favro, Michele De Paola, Giulia Prevedello. Una volontà di esplorare i luoghi negletti, e proprio per questo detonanti, della psiche umana visivamente oggettivata dallo spazio scenico – disegnato, come i costumi, da Anna Varaldo – e formato da una passerella curveiforme in legno, che suggerisce tanto i meandri contorti della mente umana quanto l’elicoidale dna, e da una spoglia piattaforma circolare ad alludere man mano ai vari luoghi dell’azione, che oscilla costantemente fra presente e passato, contingenza e ricordo.
Cosa ci dice oggi Equus
Lo scandalo suscitato dal nudo maschile e dagli espliciti riferimenti sessuali rischia di occultare quella che è la vera natura “scandalosa” del testo di Shaffer, ovvero l’implicita denuncia dell’ipocrita contegno e dell’affettata indignazione di una società costruita in verità sulla costante castrazione di desideri e passioni. Un severo super-io collettivo cui l’adolescente Alan, preda di una paranoica ossessione para-religiosa, si ribella suo malgrado, compiendo un atto tanto incomprensibilmente violento quanto disperatamente vitale. Una rivendicazione del diritto a vivere appieno passioni del tutto naturali che lo psichiatra – imprigionatosi in un matrimonio senza amore e in una rassicurante routine – intimamente condivide. Ma, ed è questa la forza rimasta intatta di Equus – ben sottolineata nella regia di Carlo Sciaccaluga – non c’è posto per i troppo sensibili e i refrattari alle maschere nell’attuale società dell’omologazione delle forme e dei comportamenti. Lo spettacolo è stato in scena fino al 6 aprile al Teatro Duse di Genova e verrà probabilmente ripreso nelle prossime stagioni.
Laura Bevione
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