Tempi duri per gli artisti. L’editoriale di Silvio Bernelli
L’Italia è scesa in guerra contro il presente in un giorno imprecisato a fine Anni Settanta. Agli storici, ai sociologi, agli studiosi della modernità spetta il compito scoprire per quali cause, ma probabilmente accadde in seguito alla strisciante guerra civile che aveva investito quel decennio. Bombe, molotov, tentati colpi di stato e morte delle utopie avevano reso l’aria così irrespirabile da provocare un rifiuto in toto della realtà.
A partire dalla fine degli Anni Settata, per gli artisti i tempi si sono fatti duri. Intendiamoci, ce sono stati moltissimi che hanno avuto il coraggio di maneggiare con successo il materiale infiammabile del presente, ma è un fatto che il sistema-Italia di ciò che accadeva nella scena culturale dal 1980 in avanti ha voluto sapere poco. Da questo atteggiamento è nata la mancata curiosità – a livello di grande pubblico, per lo meno – verso fenomeni urticanti come la scena hard core punk italiana di metà Anni Ottanta o il clubbing d’avanguardia dell’Helter Skelter di Milano. Negli Anni Novanta, escludendo le anche numerose anomalie, la musica sembra cambiare poco. I Massimo Volume di Bologna diventano il più innovativo gruppo rock italiano senza mai meritarsi le attenzioni della grande stampa e meno che mai della televisione, inchiodata alle solite mummie cantanti. Ad Antonio Moresco, uno degli scrittori più importanti della sua generazione, ci vogliono decenni di rifiuti prima di riuscire a pubblicare il primo libro. Sono solo alcuni esempi tra i tanti che si potrebbero fare.
Per far sì che il loro racconto della realtà non vada perduto, inghiottito dalla spaventosa crisi economica che ha finanziarizzato il mercato dell’arte coagulandolo intorno ai soliti noti, il collezionista italiano, grande o piccolo che sia, ha oggi una straordinaria possibilità.
Naturalmente, le conseguenze della guerra dichiarata dall’Italia contro il presente si sono fatte sentire anche nell’arte contemporanea. Eccezioni a parte (la Transavanguardia negli Anni Ottanta, Maurizio Cattelan e tanti fortunati quanti se ne contano sulle dita di una mano), l’unica categoria del contemporaneo riconosciuta dal grande pubblico – e di conseguenza dal mercato – è quella del contemporaneo-passato. I mostri sacri Burri, Manzoni e Fontana; i poveristi, Alighiero Boetti, Schifano, gli estroflessori premiati negli ultimi anni dalle aggiudicazioni londinesi e una manciata di altri. Invece parecchi talentuosi artisti italiani nati negli Anni Sessanta non sono mai realmente riusciti a sfondare. Qualche nome? Elisabetta Benassi, Loris Cecchini, Botto & Bruno, Eva Marisaldi, Stefano Arienti, Patrick Tuttofuoco e molti altri presenti a Liberi tutti!, la mostra curata da Luca Beatrice e Cristiana Perrella al Museo Ettore Fico di Torino, giusto un anno fa.
Sono artisti che, attraverso linguaggi diversissimi, trattano la contemporaneità, il giorno d’oggi, le emozioni e il disorientamento della vita quotidiana. Per far sì che il loro racconto della realtà non vada perduto, inghiottito dalla spaventosa crisi economica che ha finanziarizzato il mercato dell’arte coagulandolo intorno ai soliti noti, il collezionista italiano, grande o piccolo che sia, ha oggi una straordinaria possibilità: aggiudicarsi questi artisti a cifre ragionevoli, in qualche caso molto ragionevoli. È tempo di acquisti, insomma. Per puntare su nomi in futuro probabilmente monetizzabili, se proprio si vuole restare nel campo della speculazione finanziaria; oppure, e questo è molto più importante, per rimettere in funzione la ruota del tempo, aiutare questo Paese a uscire dal passato e vivere, accettare, sfidare la contemporaneità.
Silvio Bernelli
scrittore, autore di I ragazzi del mucchio e Dopo il lampo bianco
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