Giostra in salsa italiana
Mutare opinione e cambiare bandiera sono diventati i tratti distintivi dell’epoca attuale. Insieme al rifiuto del confronto con l’altro e all’amore per la rissa. Mentre la ricerca dell’autenticità si rivela un’impresa sempre più ardua.
“I was gonna drown
Then I started swimming
I was going down
But now I start winning”
The Sound, Winning (From the Lion’s Mouth, 1981)
Giostra in salsa italiana – sposta un po’ qui un po’ là le tue idee (se ne hai), e vedrai come le opinioni si adattano magicamente allo scenario attuale, alla cornice, alle condizioni. Quale coerenza? Quale chiarezza? Ciò che abbiamo imparato da secoli, da tempo quasi immemorabile, ciò che è inscritto ormai nella nostra biologia, è la capacità di mutare opinione e bandiera, nella rissosità e nella faziosità.
Cioè: non è che rimanete nel vostro convincimento per una solida struttura morale e ideologica; no; amate la rissa per la rissa, cambiando idea e schieramento quando e come vi pare. L’importante è stare dall’altra parte rispetto a quelli che non vi piacciono – e a cui non piacete.
E di volta in volta, poi (decennio dopo decennio) questo atteggiamento – sempre lo stesso, immutabile, immarcescibile da un sacco di tempo – assume una “tinta” differente, si colora di modernità, si equipaggia con parole d’ordine che, pur essendo sempre nuove e diverse, sono capaci di brillare singolarmente per la loro ottusità, per il loro rifiuto netto di un confronto autentico con l’altro e con il diverso, per la loro rozzezza sconfortante e desolante – ma così “giusta” per far sentire i molti “up-to-date”, parte di qualcosa che finalmente (e ci voleva!) non è la tristezza di una routine; per essere dunque largamente accettate. Innovazione a buon mercato.
La rendita di posizione e i deficit di competenze. Nonostante questo, o proprio per questo: un’aria malandata, consunta e trasandata.
***
Un “made in Italy”, un “fatto in Italia” così prevedibile, così previsto e usurato – tutto calza e casca a pennello, come un abito di sartoria, e non c’è più alcuno spazio per l’inciampo, per la sbavatura, per l’errore vero e non fatto apposta, fatto ad arte perché sembri appunto errore. (Il caos è quando realmente abbandoni la strada più comoda e affronti la vita con tutte le sue contraddizioni, trasferendola e trasponendola, trasfigurandola, lasciando intatte le ammaccature.)
***
Il movimento fondamentale – esperto di niente – è quello di evitare che i sogni i desideri e le illusioni siano quelli delle generazioni che ci hanno preceduto. Ci avete fatto sentire a lungo buoni a nulla esclusi e inadeguati semplicemente perché non riusciamo ad avere tutto ciò che a voi era dovuto (e come potremmo, del resto, in questa situazione, peraltro appositamente creata…?). Benissimo – allora non ci ossessionate con modelli superati; non fateci desiderare ciò che voi volevate, ciò che voi sognavate. Il consumo recede, dunque.
Si è venuta piano piano a creare una situazione opposta e agli antipodi rispetto a quello che un Bianciardi denunciava negli Anni Sessanta. La vita agra, infatti, è adesso non più quella degli esclusi dal boom, ma di coloro che vengono molto dopo ogni boom – di cui hanno fatto a tempo a percepire gli echi negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza, echi sostituiti man mano da quelli della consapevolezza, una doccia fredda graduale, un’amara esplorazione, una durezza glaciale.
“La bocca del predicatore si contorse in una furia maniacale: ‘Sacchi d’immondizia! Feccia!’
Una voce gli rispose: ‘Chiudi il becco. Non insultarli’.‘Cosa?’ disse il predicatore, di nuovo urlando.‘Io non sono migliore di loro. E tu non sei migliore di mei. Siamo tutti la stessa persona’. E d’un tratto mi accorsi che la voce era la mia e pensai oh Cristo, Gesù, stai uscendo di senno, ragazzo, il cervello ti scivola via dalle orecchie” (Truman Capote, Preghiere esaudite [1987], Garzanti, Milano 2000, p. 105).
***
Compresenza di strutture e di piani – rimorsi e ravvedimenti: strutture parallele, livelli sovrapposti, scale da fare e tetti di cristallo da sfondare. Tutto questo non è una scusa per non cambiare. Il cambiamento è una delle ossessioni maggiori di questa fase: non va più bene la piattaforma tradizionale (qualsiasi piattaforma tradizionale), nel senso che non regge più, anzi diciamo pure che è incrinata e sta per collassare; si avverte il bisogno di una maggiore autenticità e trasparenza nelle pratiche, nei discorsi, nelle politiche, nelle retoriche; poi, però, ci si accorge che anche attorno all’“autenticità” e alla “spontaneità” si può benissimo costruire una retorica di successo. Come se ne esce? Si scava, si ripulisce, si perfeziona, si leviga, si semplifica, si continua a scavare, cercando onestamente la purezza della voce, del pensiero, della ricerca stessa: “Non c’è mai fine. Ci sono sempre nuovi suoni da immaginare, nuovi sentimenti da sperimentare. E c’è la necessità di purificare sempre più questi sentimenti, questi suoni, per arrivare ad immaginare allo stato puro ciò che abbiamo scoperto. In modo da riuscire a vedere con maggiore chiarezza ciò che siamo. Solo così riusciamo a dare a chi ascolta l’essenza, il meglio di ciò che siamo. Ma per farlo dobbiamo continuare a pulire lo specchio” (John Coltrane, riportato da Nat Henthoff nelle note di copertina scritte per l’album Meditations, 1966).
Ricavare un pertugio sempre più stretto, tra scritture standardizzate, omologate e funzionali, tra linguaggi erosi che dicono con ostentazione il niente senza analizzarlo, senza viverci dentro. Una scrittura che sappia fare tesoro del nulla, estrarre da esso diamanti e stile.
Christian Caliandro
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati