Istituzioni culturali. Identità e cambiamento
Uno sguardo vigile rivolto al concetto di identità è uno dei presupposti essenziali affinché un organismo culturale possa rimanere al passo con i tempi. In quest’ottica, cosa succede in Italia?
Nel percorso di nascita, ma anche di riorientamento o rilancio di un’istituzione culturale, il lavoro sulla costruzione dell’identità rappresenta una tappa fondamentale. Perché dalla risposta alla domanda (la più semplice forse che ci sia) “chi siamo?” scaturiscono tutte le altre: dove vogliamo andare, con chi, a fare cosa, come e perché.
Parlare di identità significa porsi in un atteggiamento serio di ascolto riguardo alla consapevolezza (o non consapevolezza) del Sé culturale, proprio di ogni istituzione nelle sue diverse quanto molteplici declinazioni. Per questo possiamo affermare che esiste un Sé museale, teatrale, musicale ecc. e che tutti potrebbero anche co-abitare nel multiforme corpus di un’impresa culturale. Accade sovente che l’identità, così come vogliamo appellare e definire questo “Ipse” culturale di aristotelica memoria, possa modificarsi nel tempo e nello spazio, subendo o accogliendo restrizioni e stimoli che ne caratterizzano la cifra mobile e dinamica.
“Accade sovente che l’identità, così come vogliamo appellare e definire questo “Ipse” culturale di aristotelica memoria, possa modificarsi nel tempo e nello spazio“.
Ha molto senso quindi discutere di evoluzione identitaria per un’istituzione culturale; sarebbe un errore non farlo, a tutti i livelli dell’organizzazione, a partire dal board. In Italia ci sono musei, teatri, orchestre, spazi performativi che sono nati e cresciuti per effetto di un’identità di confine (a volte geografica, altre storica, altre ancora amministrativa) oppure di un’identità di competizione (come distinzione, differenziazione, come altro da qualcun altro) o di un’identità politica o economica (frutto di leggi speciali versus decisioni emergenti dal tessuto imprenditoriale e produttivo). L’elenco potrebbe continuare.
Oggi, senza scomodare i secoli pensando alle realtà “storicizzate”, tutte quelle istituzioni che hanno “appena” 50-40-30-20-10 anni e che hanno visto decrescere, in taluni casi scomparire, i contributi pubblici, mentre si sono messe a cercare altri fondi per sopravvivere, avranno anche avviato una riflessione su “chi sono?”, pronte a rimettersi in discussione e in gioco, magari diverse?
Buona reflective practice.
– Irene Sanesi
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #34
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