La storia di Meret Oppenheim raccontata a Lugano
Il MASI di Lugano rende omaggio a una delle artiste simbolo del secolo scorso, mettendola a confronto con i colleghi del suo tempo e alcuni protagonisti della contemporaneità. Svelandone così il carattere fortemente attuale.
La nuova stagione di mostre del MASI all’interno del LAC si apre con un’artista donna, Meret Oppenheim (1913-1985), tra le più celebri icone del Novecento. Residente a Carona, fin da bambina trascorse le estati sul lago di Lugano, intessendo un forte legame di familiarità con il Canton Ticino, una sorta di spazio in cui amava rigenerarsi, invitare amici e creare opere ispirate alla natura, anche nei momenti più cupi della sua vita. Affermatasi negli Anni Trenta e Quaranta, con non poche difficoltà, si affiancò al movimento surrealista di Breton. Dotata di incredibile carisma e fascino, fu al contempo musa di Man Ray e creatrice di opere intense, che hanno saputo imporsi nel panorama artistico, divenendo un punto di riferimento per l’epoca contemporanea.
Il progetto espositivo, curato da Guido Comis in collaborazione con Maria Giuseppina Di Monte, nell’ambito del partenariato con Credit Suisse, mette Meret Oppenheim in dialogo con altri artisti, creando un confronto con la scena del tempo, quella parigina in particolare, terreno ben noto all’artista.
TRAME E LEGAMI
Visitando le sale del museo, si assiste alla fitta trama di legami tra le creazioni di Meret e quelle dei maggiori esponenti della corrente dada e surrealista – Man Ray, Marcel Duchamp, Max Ernst, Alberto Giacometti, René Magritte e anche la più attuale Mona Hatoum – lungo un percorso inedito e stimolante, dalla lettura estremamente fresca.
L’esibizione si apre con il ritratto di Meret, scattato da Man Ray, dando risalto agli scatti che hanno fissato la sua immagine nel ricordo collettivo, per poi proseguire affrontando diverse tematiche: il cibo e l’eros, il rapporto tra corpo e indumento, il modo in cui la donna alterna un ruolo a tratti da fata o da strega, svelando un’anima che non teme il giudizio maschile, fino ad arrivare a opere legate alle maschere sociali, ai ruoli sessuali e alle passioni.
UNA MOSTRA RIUSCITA
L’esposizione riesce perfettamente a presentarsi alla contemporaneità senza relegarsi a un mero confronto tra artisti degli Anni Trenta, sottolineando, al contrario, l’attualità della ricerca della Oppenheim, la cui carriera, iniziata molto presto, si concluse solo al momento della morte in tarda età.
Lo spettatore è sorpreso da una mostra non ridondante, bensì saliente, grazie a un taglio che permette di coglierne i riferimenti tangibili.
L’ultima opera – una fontana in cui due serpenti scolpiti si intrecciano verticalmente in un lungo avviluppo – esposta centralmente nella sala più luminosa del museo, sembra omaggiare, con la sua presenza, la vista sul quel lago tanto amato dall’artista.
– Elena Arzani
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