Una costola di Michelangelo. Daniele da Volterra a Roma
Gallerie Nazionali di Arte Antica di Roma, Galleria Corsini, Roma – fino al 7 maggio 2017. Daniele da Volterra nella capitale con due dipinti (in ottimo stato di conservazione) provenienti da una collezione privata.
Raramente si è avuta, o si avrà, la possibilità di poter osservare questi due capolavori rinascimentali di Daniele Ricciarelli (Volterra, 1509 – Roma, 1566), pittore e scultore meglio conosciuto come Daniele da Volterra o come il Braghettone – soprannome che gli fu attribuito poiché, dopo la morte di Michelangelo, proprio a lui spettò il compito di coprire le nudità del suo Giudizio Universale che tanto facevano scandalo nel rigido clima controriformato di quegli anni. Le due opere, infatti, sono di solito custdite presso la collezione privata senese dei Conti Pannocchieschi d’Elci.
LA VITA
Daniele da Volterra si formò molto probabilmente a Siena, sotto l’influenza e la guida di artisti come il Sodoma, il Beccafumi e Baldassarre Peruzzi. Giunto a Roma, collaborò con quest’ultimo e soprattutto con Perin del Vaga, uno degli eredi eletti di Raffaello, in importanti cantieri pittorici che lo videro impegnato, a partire dalla fine degli Anni Trenta del Cinquecento, anche come creatore di decorazioni a stucco. Nell’Urbe l’artista conobbe Michelangelo e le sue opere, divenendone presto uno dei più grandi ammiratori, oltre che un intimo amico del maestro. Vi era tra loro una familiarità tale che permetteva all’allievo di elaborare alcune composizioni partendo proprio da schizzi e idee del suo mentore, con il quale collaborò per la realizzazione del perduto monumento equestre di Enrico II re di Francia, commissionato dalla moglie Caterina de’ Medici.
Grazie all’incontro con Michelangelo, l’arte di Daniele trovò quella plasticità stilistica che contraddistinse il suo stile futuro, dandone prova negli affreschi che realizzò a più riprese nella chiesa della Trinità dei Monti, come la celebre Deposizione per la Cappella Orsini, opera che suggestionò diversi artisti nei secoli a venire, primo tra tutti Pieter Paul Rubens.
IL PERCORSO
La mostra è dedicata a due dipinti degli Anni Quaranta che riflettono, a livello tematico e stilistico, le tendenze della Roma di Paolo III Farnese. Nel primo, Elia nel deserto, Daniele sintetizza lo stile muscolare di Michelangelo con la raffinatezza di un Raffaello filtrata attraverso la mediazione di Perin del Vaga, come è ben evidente nel paesaggio. Un particolare interessante del dipinto è l’iconografia dell’Eucarestia, qui presente con gli attributi iconografici del pane e dell’acqua, da vedere come una riflessione su quel sacramento dopo le precisazioni e le tesi di Lutero. Il secondo dipinto raffigura invece una Madonna con il Bambino, san Giovannino e santa Barbara, con un’antropologia e un senso spaziale monumentale evidentemente dipendenti da Michelangelo e dal Giudizio Universale. A testimoniare il minuzioso metodo di lavoro di Daniele, oltre che l’ottimo stato di conservazione, sono presentate le riflettografie delle due opere.
Con l’occasione di questa mostra è stato deciso dal museo di esporre, nel Gabinetto Verde, due opere che richiamano il clima culturale della Roma di quegli anni, rispettivamente di Jacopino del Conte (qui attribuita, e precedentemente assegnata a Girolamo Siciolante da Sermoneta) e di Marcello Venusti, tutti artisti in contatto con i Farnese e soprattutto con l’arte di Michelangelo, del quale i due artisti interpretano il messaggio in maniera del tutto personale. Mentre del primo si sottolinea la struttura della composizione, per l’altro è di fondamentale importanza l’uso del colore, tratto distintivo del genio rinascimentale.
– Calogero Pirrera
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