Critica viva (VII). Modernismo e illusioni

Esistono davvero le storie di successo e gli esempi da seguire? Oppure la vita, quella vera, si basa su sistema di fallimenti che, se accolti, scongiurano la minaccia di convinzioni infantili e facilone?

Con un ukàse che non ammette eccezioni,
l’alieno viene piegato all’annientamento dei suoi
mondi e il veleno sottile dell’invidia raggiunge il
suo centro creativo distruggendone le centraline.
Ridotto a un’oscurità senza mostri e a un silenzio
senza presagi, finalmente appartiene alla specie”.
Mariateresa Di Lascia, Passaggio in ombra (1995)

Il modernismo è un’illusione prospettica.
Il modernismo è un’illusione prospettica.
Il modernismo è un’illusione prospettica.

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Antoni Pevsner, Testa, 1923-24

Antoni Pevsner, Testa, 1923-24

e puoi scrivere di qualunque cosa, su qualunque cosa – questa è la scoperta più affascinante della maturità – seguire e intrecciare i pensieri, tutti, sovrapponendoli e fondendoli, tutte le linee – anche quelle in contraddizione, specialmente quelle – aveva ragione Kerouac a usare “beat” nel doppio senso di “battuto” e di “beato”, perché la beatitudine, quella vera, discende e può discendere solamente dal dolore dal trauma, rasserenato in una forma di tristezza estatica, che si nutre di quanto è comunemente considerato “fallimento” – straordinario come il fraintendimento sia alla base, forse da sempre, di ogni forma di comunicazione: si capisce sempre il contrario, la gente capisce sempre l’opposto della verità – e in questo senso realmente il successo è forse ancora più pericoloso dell’insuccesso – a partire dallo stesso Kerouac: e poi Jim Morrison e i Doors; Pier Paolo Pasolini; Lucio Battisti; i Pink Floyd; i Joy Division (: tutti divenuti famosi per i motivi più sbagliati e superficiali: loro lo sapevano e ne facevano a volte una malattia, il che li ha distrutti o li ha semi-distrutti, a seconda dei casi; gli esempi sono tantissimi, potrebbero continuare pressoché all’infinito) – che poi questa forma di OTTUSITÀ del mondo e delle persone è anche parte integrante della sua bellezza, perché gli artisti costruiscono le opere ma non possono controllarne minimamente l’esistenza, la percezione e la ricezione. Più rilevante l’opera, maggiore la distorsione.

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La vita poi è questo: l’attesa.
(Non spasmodica, ma serenamente triste; senza aspettative, affidata al destino, ironica senza essere cinica.)
Scanzonata come Mastroianni e Savinio. Avvertita. Disincantata – che, ancora una volta, non vuol dire affatto cinica; umana e partecipe ma capace di mantenere una certa distanza rispetto agli eventi che riguardano se stessi prima ancora degli altri; disporsi al peggio, o quantomeno alla delusione delle aspettative, risana; la “delusione preventiva” è sana, e cura.

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Marta Roberti, Nature is a Rethorician Place, 2015

Marta Roberti, Nature is a Rethorician Place, 2015

Ogni storia di successo, in buona sostanza, non ha alcun senso. Ma proprio nessuno. Non ha senso come costruzione narrativa; non ha senso come exemplum, come modello da seguire e da applicare; non ha senso nel tempo, nello spazio, nelle circostanze specifiche e nella sequenza degli eventi. È – sempre e comunque – una forma di “consolazione” (come tale, poco interessante).
L’unico esempio che è logico seguire è quello relativo a una forma esistenziale. Come uno ha vissuto – come ha portato avanti la costruzione della propria anima – le opere che riflettono questo processo costruttivo e evolutivo – e basta. La storiella del “ho fatto tanti sacrifici, ho lottato tanto contro i mostri, contro i cattivi, contro i mediocri – e poi (inevitabilmente) HO VINTO (e sono qui che vi parlo da questa condizione privilegiata e invidiabile, conquistata una volta per tutte, di vincitore) – è appunto una storiella, una favola per bambini. Un’illusione (oltretutto, puzza). Interessante solo per un tipo di mentalità infantile credulona facilona, assuefatta alla rassicurazione e a sentirsi ripetere continuamente che sì, alla fine (quale fine? Non certo la fine, questo è poco ma sicuro) tutto andrà bene. Almeno il fallimento – che pure non ha alcun senso se solo lo consideriamo un po’ più da vicino – ha il vantaggio indiscusso di presentare alcuni tratti ammalianti, raccontabili e pregevoli.

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La sicurezza deriva, senza ombra di dubbio, dall’incertezza.

Christian Caliandro

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Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

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