American Gothic. Bruce Conner a Madrid
Museo Reina Sofía, Madrid – fino al 22 maggio 2017. Organizzata dal museo madrileno e dal SFMoMA di San Francisco, “Bruce Conner. It’s All True” è un’ampia retrospettiva sulla carriera di uno degli artisti americani, attivi dal dopoguerra al nuovo millennio, più importanti ed eclettici, ma meno noti al grande pubblico. Un’ottima occasione per riscoprirlo.
È stato un artista dentro il proprio tempo, nonché alternativo, quasi eretico, rispetto ai tratti dominanti di molta arte a lui contemporanea (Robert Rauschenberg, Andy Warhol, Jasper Johns, Claes Oldenburg). Attivo sulla scena artistica di San Francisco negli Anni Cinquanta, vicino per ispirazione e tematiche alla Beat Generation, Bruce Conner (McPherson, 1933 – San Francisco, 2008) è stato salutato come uno dei primi artisti americani a lavorare con installazioni e readymade, ed è annoverato tra i videoartisti underground americani, pur conservando una propria unicità di difficile inclusione in determinati gruppi artistici, come Pop Art e Fluxus; più prossimo, per poetica, ad artisti vicini alla sua generazione, come i coniugi Kienholz e Paul McCarthy.
La mostra di Madrid presenta oltre duecentocinquanta opere su carta, film, opere su tela, sculture, realizzate da un artista che è riuscito a osservare l’anima dell’America del secondo Novecento in modo disincantato e impietoso, giocoso e meditativo. Conner ha osservato la società a stelle e strisce a vari livelli: dalla politica estera alla comunicazione massmediatica, dai movimenti controculturali al consumismo innervante ogni aspetto del quotidiano. Il tutto cercando di innovare metodologie e storytelling artistici. In modo pantagruelico: senza la predilezione di un medium (come Jackson Pollock e Jasper Johns con la pittura, Richard Serra e Claes Oldenburg la scultura), l’artista ha avuto un tocco da re Mida per pittura e assemblage, video e disegno, musica e collage, fino a Body Art e performance.
ASSEMBLAGE
Gli assemblage sono, nella produzione di Conner, degli oggetti il cui fine è l’autodistruzione per invecchiamento: altari fatti di cera, bottoni, borse, piume, avviluppati in calze di nylon. La polvere è invitata a depositarsi per accelerare il decadimento della materia: l’opera è destinata a sparire. Scelte anti-artistiche, care a Marcel Duchamp (Allevamento di polvere, 1920) e a Jean Tinguely (Omaggio a New York, 1960), unita a una sensibilità vicina a Jean Dubuffet e a Kurt Schwitters. Al Reina Sofia è esposto, tra le serie degli Anni Cinquanta e Sessanta, Child (1959), un assemblage prossimo, per intensità, a Francis Bacon; e The Bride (1960), vicino per sensibilità e mordacità a Max Ernst. Opere che Conner produce fino al 1964, quando lavora più attivamente con la pellicola da film: un altro modo di fare collage. Ottenute unendo fotogrammi da film diversi, le opere video, assieme ai lavori su carta, diventeranno il focus principale durante i decenni successivi.
CUT
Conner è vicino alla scena del cinema undeground americano per scelte visive e prassi metodologiche (interventi diretti sulla pellicola, alla Stan Brakhage; attenzione per un erotismo libertario e liberatorio, alla Jack Smith), concentrandosi sulla rappresentazione della figura umana, e in particolare del femminile, con scelte estetiche prossime a quelle di Andy Warhol; ma più affini, stilisticamente, ad artiste come Carolee Schneemann o Lynda Benglis (Breakaway, 1966). L’osservazione della liberazione dai costumi puritani degli Anni Cinquanta convive con l’interesse per la memoria culturale, con forza meno ambigua rispetto a molti artisti pop: in Report (1963-67), l’assassinio di Kennedy è raccontato dalla camera e dallo speaker della diretta televisiva, ma censurato nel momento più drammatico. L’istante dell’assassinio lascia il posto a un allucinatorio collage, fatto di fotogrammi bianchi e neri. La sperimentazione visiva va di pari passo con quella sonora: in Crossroads (1976), la musica melodicamente serena di Terry Riley accompagna un video di esplosioni atomiche, tratte dalle riprese degli esperimenti dell’esercito americano nelle isole Bikini (1946). Altri video, come America is Waiting e Mea Culpa (1981), saranno omaggi video a musicisti come Brian Eno e David Byrne.
OPERE SU CARTA
Osservabili come esiti di una pratica meditativa o ossessiva, costruite con meticolosa precisione, le opere su carta oscillano tra rigore figurativo e rappresentazione determinata dal caso (la serie Costellazioni, degli Anni Settanta e Ottanta); astrazione e figurazione (Untitled, Embryo, Yin Yang e i Mandala degli Anni Sessanta); grafemi e decorativismo (gli Inkblot Drawing degli Anni Settanta, somiglianti ai disegni di Rorhshach, usati nei test di psicologia); nonché realismo fotografico (Burning Bright, 1996). Tra influssi orientali e astrazione modernista, Conner sperimenta inoltre diversi fotogrammi ai sali d’argento, usando se stesso come oggetto figurativo: al pari di Robert Rauschenberg e David Hammons, ma con riferimenti dichiaratamente mistici (Sound of One Hand Angel, 1974).
COLLAGE
Influenzato dai collage protosurrealisti di Max Ernst, in particolare dalla serie La Femme 100 têtes, Conner lavorerà a collage mixati a partire da stampe d’età vittoriana, seguendo lo stesso procedimento e fonti di Ernst; ma assecondando libere associazioni simboliche e riferimenti esoterici. La carica erotica e drammatica, tipica della serie del surrealista, lascia il posto a un’atmosfera irreale e dissacratoria. Iniziate a partire dai tardi Anni Cinquanta, spesso inserite negli assemblage, le diverse serie di collage rimarranno opera privata dell’artista, pressoché sconosciute alle persone a lui più vicine; fino a essere divulgate, sotto forma di pubblicazione, nel 1973.
FOTOGRAFO UNDERGROUND
L’interesse dell’artista verso i paradossi della società americana, all’indomani degli esperimenti con la pellicola cinematografica negli Anni Sessanta, riemerge nei tardi Anni Settanta, con l’incontro della scena musicale underground della West Coast; Conner lavorerà come fotografo per il giornale punk Search and Destroy, ritraendo i gruppi musicali attivi in un club di San Francisco, il Mabuhay. La Beat Generation, il movimento controculturale degli Anni Sessanta, e il punk: diverse fotografie in mostra testimoniano l’interesse bruciante di Conner per un’ultima espressione di ribellione giovanile su suolo americano.
Esoterismo, realismo, modernismo, anti-arte: l’artista attraversa diverse correnti e costanti del proprio secolo, guardando al passato e immaginando il futuro. A Movie (1958), mix di sequenze erotiche, scene di film e di vita quotidiana, è salutato come un videoclip di MTV ante litteram, in anticipo di ventitré anni. Come molti artisti marginali rispetto alla scena artistica, per scelta o per circostanze, Conner merita una divulgazione maggiore; la mostra al Reina Sofía è un’occasione per riscoprire un’altra faccia dell’arte americana, dai tratti più umbratili, quanto ugualmente degni d’attenzione.
– Elio Ticca
Madrid // fino al 22 maggio 2017
Bruce Conner. It’s All True
a cura di Stuart Comer, Laura Hoptman, Rudolf Frieling, Gary Garrel e Rachel Federman
MUSEO NACIONAL CENTRO DE ARTE REINA SOFÍA
Calle Santa Isabel 52
www.museoreinasofia.es
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