Un inaspettato Eliseo Mattiacci. A Rovereto
Mart, Rovereto – fino al 12 marzo 2017. Lavori rari e poco visti di Eliseo Mattiacci ne svelano il vero volto, quello di artista sperimentale che mescola forma pura e riferimenti alla contemporaneità. Opere come piattaforme, che vivono della presenza dello spettatore.
Con la retrospettiva di Eliseo Mattiacci (Cagli, 1940) il Mart conclude una trilogia sulla scultura contemporanea iniziata con la mostra su Giuseppe Penone e continuata con quella su Robert Morris (che affiancava film e sculture). Natura e corpo con il protagonista dell’Arte Povera; corpo e spazio sociale con il grande americano; forma archetipica e forma declinata nel caso di Mattiacci: nella differenza formale e di riferimenti culturali, le tre mostre dipingono un affresco coerente.
Il Mattiacci che emerge dalla mostra è un artista diverso da quello a cui si pensa abitualmente: più sperimentale, meno rinchiuso in questioni puramente formali. Nelle opere in mostra si instaura un dialogo continuo tra forma pura, tradizione e allusioni alla contemporaneità. La presenza di opere rare e poco esposte svela così il vero volto di uno scultore che trova agevolmente il suo posto in una trilogia di questo genere.
ASTRONOMIA, MAGNETISMO, GRAVITAZIONE
Non manca certo in Mattiacci una componente che allude all’eterno, all’archetipico. La sua frase scelta come “slogan” della mostra è, non a caso, “Vorrei che nel mio lavoro si avvertissero processi che vanno dall’età del ferro al Tremila“. Le prime sale della mostra confermano queste aspirazioni, ad esempio con il dinamismo di Locomotiva (1964) o con le sfere “irradianti” di Parafulmine, attirafulmine, neutro (1965). Ma già queste opere contengono i germi di ciò che succederà negli anni successivi. Sette corpi di energia del 1973 mescola metafora e mitologia. Ancor più metaforica è Cultura mummificata del 1972, con i suoi libri di alluminio accatastati. E poi nella grande sala centrale esplodono i riferimenti ad astronomia, magnetismo, gravitazione, con l’acciaio e il rame di Esplorazione magnetica (1988), con il solenne e spettacolare Gong del 1993 e con i telescopi di Piattaforma esplorativa (2008).
CAMPI DI FORZA
Non si sfocia mai nell’esistenzialismo con Mattiacci. La connotazione storicamente determinata di riferimenti “eterni” è sempre sottintesa. L’aura dei materiali utilizzati produce “campi di forza”, la conformazione delle installazioni genera piattaforme, palcoscenici che prevedono la presenza del visitatore. L’individuo (raramente la figura umana rappresentata, più spesso, in sua vece, lo spettatore) si trova al centro di tali campi, bersagliato da un tiro incrociato di riferimenti che è metafora della sua posizione in rapporto alla società. Confermano ed esplicitano questa vocazione dialettica le opere forse più inaspettate della mostra: il gioco filosofico/linguistico di Essere e respirare (1978) e la spettacolare espressione semi-pop, con tanto di manichino a grandezza naturale, di Motociclista (1981).
– Stefano Castelli
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