#presentense (V). In fuga dall’epoca d’oro
Parola d’ordine: cambiamento. Per fuggire alle consapevolezze, spesso inventate, degli Anni Sessanta e Settanta. Un’epoca d’oro massiccio sulle spalle delle generazioni successive.
“Il sole stava calando e il mondo sembrava molto grande.
Quanti anni sono passati da allora?
Solo i vivi contano gli anni. Ed è mutato qualcosa?”
Maria Corti, L’ora di tutti (1962)
17 maggio 2017, in treno per Verona. Un posto in cui la sbirraglia è elevata a sistema – e a forma di vita. Un posto in cui vale sempre un doppio regime di regole: quelle ufficiali, istituzionali, scritte (le regole-regole: ancora le “grida” di Manzoni…), e quelle informali, non-scritte, esistenziali per così dire, tra il detto e il non detto, fondate sull’arbitrio e sulla discrezionalità, e però molto ma molto più rigide e seguite di quelle altre buone di fatto solo per i gonzi, per i “fessi” (: seguite proprio perché strutturano in maniera spontanea e irregolare la dimensione quotidiana, reale). Un posto in cui la vita funziona basandosi e costruendosi regolarmente su questa irregolarità, su questa casualità. Un posto in cui il Potere sta sempre “altrove”, si trova sempre da un’altra parte, temuta e invidiata, sognata e odiata – ma quando poi si cala nel livello locale assume immediatamente fattezze e modi familiari, di tutti i giorni, riconoscibilissimi: è sempre stato lì; è un Cugino, uno Zio, un Amico, un Amico-di-Amici, Uno-Che-Conta, Uno-Che-Si-Fa-Valere: Uno-Che-Può. Il Potere è un peso, che si considera e che si esercita. Similitudine profonda con i Paesi Mediorientali: non è che magari – assieme alla Controriforma – negli ultimi cinque secoli Italia e Sud Italia hanno introiettato anche certi modi di pensare e di vivere degli Ottomani, del “Feroce Saladino”, dei temibili “Turchi”?
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Il fastidio di sentirsi costantemente legati al ricordo e al racconto di un’epoca d’oro (che, come tutte le età mitiche, non è mai esistita) – gli Anni Sessanta e Settanta, la “consapevolezza raggiunta da un’intera generazione” (come non mancano mai di asserire saggi e documentari) – e noi invece, che da quando siamo piccoli, adolescenti e postadolescenti, dobbiamo sentirci costantemente oppressi da questo peso storico (in gran parte, peraltro, inventato), raccoglitori di macerie, divoratori di sogni altrui – beh adesso è l’ora di scegliere da soli le macerie e le rovine e le scorie e gli SCARTI che vogliamo assemblare, che stiamo già assemblando – di sfuggire a questo ricordo oneroso, a questa cospicua obsolescenza, a questa specie di obbligo esistenziale (trasmessoci automaticamente: ma che non è mai esistito davvero) – di sganciarci da queste narrazioni pericolanti. Vale a dire: di vivere appieno il nostro momento, il nostro periodo (: questo), senza nostalgie importate o rimpianti imposti, di scegliere la nostra vita – e di cambiarla.
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Verona, nella casa di Giulietta (più tardi). Il muro di graffiti all’entrata, sotto i lampioni che probabilmente sono l’unica cosa d’epoca in questo luogo – strati su strati di nomi e date e relazioni, cerotti con le scritte a pennarello, nomi scritti a penna persino sulle chewing-gum attaccate alla parete – e alla fine l’immagine turistica di una città e della sua identità è un po’ una stratigrafia di questo tipo, un’accumulazione in parte casuale, in parte programmata – questo per esempio è un sogno rinascimentale, una proiezione shakespeariana immaginata e inventata sotto il Fascismo – il balcone è un sarcofago antico riadattato – e così via. (La gente – i turisti orientali con le guide, le donne arabe ricche con il velo, le signore americane di colore con bimbi al seguito che si rotolano immancabilmente nel lerciume del pavimento – che si fotografa affacciata o con una mano sulla tetta della statua di Giulietta, realizzata nel 1972. Fuori, in strada, un negozio di souvenir: SHAKESPEARE, pieno di magliette e cuoricini, tutto rosso e oro.)
Scrivere è percepire; percepire è scrivere.
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18 maggio 2017, in treno da Verona a Torino. Definire questa sensazione che è il presente-presentense: scavallamento; superamento della stanchezza; esausto, bollito, leggero; fluttuante; euforia immobile, paralizzata; immersione; profondità trasparente; connessione; assemblaggio di elementi e frammenti incongrui; irritabilità; suscettibilità; visione paranoica del mondo; relazioni labili; una nuova forma di solidità; vernacolare fantascientifico; dimenticanza; benvenuto oblio; spreco; distanza; generosità; dono; freddezza; colori fluo; terra.
Taranto Vecchia.
– Christian Caliandro
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