Granpalazzo. Una fiera in arrivo ad Ariccia
Terza edizione per la curiosa fiera laziale, che quest’anno si sposta da Zagarolo a Palazzo Chigi ad Ariccia. Per conoscere novità e conferme, abbiamo intervistato Ilaria Gianni. L’appuntamento è per il 27 e 28 maggio.
Ventisette le gallerie partecipanti, con altrettanti artisti invitati a presentare opere e progetti site specific. Il contesto è quello di Palazzo Chigi ad Ariccia: meno di trenta chilometri da Roma, in un edificio firmato da Gian Lorenzo Bernini e che è stato la location di buona parte de Il Gattopardo di Luchino Visconti. Novità e conferme ce le siamo fatte raccontare da Ilaria Gianni, ideatrice del progetto Granpalazzo insieme a Paola Capata, Delfo Durante e Federica Schiavo.
Terza edizione e un cambio di location. Per quali ragioni avete lasciato Zagarolo per andare ad Ariccia? Cosa perdete e cosa guadagnate in questo cambio?
Un aspetto importante di Granpalazzo è il rapporto con lo spazio espositivo e con il territorio in cui si colloca. Ci interessa riscoprire luoghi unici fuori dai soliti circuiti turistici. Luoghi che rappresentano un tassello della complessa e unica storia dell’arte italiana. Siamo così partiti dai palazzi nobiliari laziali: prima Palazzo Rospigliosi a Zagarolo, una dimora rinascimentale che ha conservato il suo fascino e la sua memoria storica; ora Palazzo Chigi, ad Ariccia, un grandioso palazzo barocco che ci narra le magnificenze e le visioni di una famiglia che ha contribuito a costruire la storia politica e culturale dell’Italia. Il nostro obiettivo è creare uno sguardo diverso su questi luoghi attraverso l’arte contemporanea, introducendoli a un pubblico più vasto, al contempo dando vita a un’occasione di confronto fra tempi, artisti e storie.
Palazzo Chigi ad Ariccia è uno dei capolavori di Bernini, ahimè troppo poco noto. Come declinerete l’ormai consueta questione “il contemporaneo dialoga con l’antico”?
Ogni lavoro è stato pensato per una sala e gli artisti sono stati stimolati a sviluppare delle opere o delle soluzioni espositive in dialogo con lo spazio in cui vivranno per questo breve momento. La conversazione sarà principalmente formale. Ogni artista ha trovato una sua cifra, una sua modalità di interazione con lo spazio quindi le declinazioni saranno multiple.
Roma non è mai riuscita ad avere con continuità una fiera d’arte contemporanea. Perché, a tuo avviso? E perché invece sta funzionando il vostro progetto? Sulla carta sembrava qualcosa di improbabile, considerata la difficoltà degli spostamenti…
Il nostro è un esperimento portato avanti con grande passione e entusiasmo. Realizzare Granpalazzo ogni anno è una sfida per noi. Ciò che piace ai galleristi e agli artisti invitati è la dimensione di condivisione, il contesto informale, il clima rilassato. Granpalazzo è una sorta di momento di evasione dal sistema dell’arte ordinario, gradito anche ai collezionisti e al pubblico. Altro aspetto importante è che siamo indipendenti e non profit. Non abbiamo fini di lucro ma lavoriamo solo ed esclusivamente per il bene del progetto, delle gallerie e degli artisti presenti a ciascuna edizione.
Granpalazzo è una fiera fatta unicamente di solo show, com’era Volta all’inizio, ad esempio. È un format che le gallerie accettano di buon grado? Dal punto di vista curatoriale, come interagite con le loro scelte?
Le gallerie apprezzano molto questo format perché è un’occasione per pensare a un vero e proprio progetto espositivo e perché si da la possibilità a un artista di confrontarsi con un contesto differente dal white cube. Ogni lavoro esposto a Granpalazzo è discusso singolarmente con le gallerie e con gli artisti sin da principio. Se c’è qualcosa che non convince le parti, si riprende in mano la situazione e si ripensa all’opera. È una conversazione costante.
La novità di quest’anno è il programma di performance. Ci racconti cosa succederà a Palazzo Chigi?
Per la prima volta il programma di performance è stato affidato a tre soggetti attivi nella produzione e nel sostegno delle arti contemporanee a Roma. L’unica indicazione proveniente da noi è stata la volontà di riflettere sulla storia della performance in Italia attraverso il lavoro di tre artisti in vita appartenenti a tre generazioni differenti.
Gianfranco Baruchello – sostenuto dalla Fondazione Baruchello – presenta Adozione della pecora (2016). Un gregge di pecore in legno verrà condotto dai visitatori e dagli ospiti di Granpalazzo, che ne diventano così i “pastori”. Le decine di pecore saranno trasportate attraverso le sale, caratterizzandosi come presenza insolita tra le opere delle gallerie e gli ambienti di Palazzo Chigi. Un’azione corale che affronta i concetti di responsabilità, condivisione e “farsi carico”.
Italo Zuffi – sostenuto dalla Fondazione Volume! – presenta Crescendo-Diminuendo (Sergio Ragalzi) (2017), un progetto che si colloca a metà fra un lavoro sull’ascolto e una performance. All’interno di una stanza, un sistema audio riprodurrà il sonoro di un vernissage, ripercorrendone per intero la curva gaussiana. In questo ambiente privo di opere verrà offerto un rinfresco. L’artista sarà presente nello spazio e il pubblico si troverà in questo modo proiettato all’interno di una “meta-inaugurazione” di cui si potranno assecondare i rituali e le pratiche.
Roberto Fassone – sostenuto da smART-polo per l’arte – presenta Fox With The Sound Of Its Owl Shaking (unplugged) (2017), in cui rileggerà attraverso il linguaggio e l’uso del corpo una serie di opere che hanno fatto la storia dell’arte del Novecento. I lavori saranno raccontati e “agiti” allo stesso tempo, dando vita a una performance colta, coinvolgente e ironica.
– Marco Enrico Giacomelli
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