L’Europa transcaucasica e l’arte di resistenza alla Biennale di Venezia. Le immagini
Armenia e Georgia, piccole, giovani repubbliche dalla storia millenaria e tormentata, presentano in Laguna due Padiglioni dal profondo legame con le origini e i simboli delle loro culture nazionali.
Armenia e Georgia, si presentano alla Biennale di Venezia con due Padiglioni dal profondo legame con le origini delle loro culture nazionali, rimarcandone il ruolo cruciale nello sviluppo civile dei due popoli, che nei secoli hanno subito persecuzioni, conquiste, devastazioni del loro patrimonio materiale e immateriale.
Se Vajiko Chachkhiani ha scelto per la Georgia un approccio istallativo in bilico fra naturalismo e simbolismo, Bruno Corà ha curata per il Padiglione armeno la personale di Jean Boghossian, le cui ricerche con il fumo e la fiamma sono trasversali fra l’arte concettuale e la narrazione storica.
LA FORZA DEGLI ELEMENTI
Una capanna in legno, abbandonata nei boschi della Georgia e ricostruita all’Arsenale, completa di mobilia interna. A questo omaggio all’architettura tradizionale, Vajiko Chachkhiani (Tbilisi, 1985) ha aggiunto un sistema d’irrigazione che crea una pioggia continua, la cui particolarità è quella di cadere dal soffitto dell’abitazione; il che significa, che a novembre, alla chiusura della Biennale, l’elemento naturale avrà modificato, persino danneggiato, le assi di legno di pareti e pavimento, così come la mobilia. L’idea di fondo è quella dello spirito di adattamento che il popolo georgiano ha dimostrato nei secoli, dalle invasioni musulmane a quella zarista, dalla dittatura sovietica (con le sue vittime anche fra artisti e poeti) alla difficile transizione verso la democrazia. Ma, come recita il titolo del Padiglione, si vuole essere “un cane vivo in mezzo ai leoni morti”: l’omaggio di Chachkhiani va all’uomo comune, ai milioni di georgiani che hanno tratta dalla maestosa natura che li circonda quella forza d’animo con cui hanno sopportata una storia non semplice.
L’ARTE, ARABA FENICE DELL’ESISTENZA
Ispirandosi all’antico alfabeto armeno, così come a tutti gli altri alfabeti antichi, Jean Boghossian (Aleppo, 1949), ha concepita Fiamma inestinguibile (che dà il nome all’intero progetto), l’istallazione site specific per Palazzo Zenobio, cuore della sua personale. Le steli monumentali che sembrano scaturire dai libri bruciati posti alla base, sono il simbolo della capacità della cultura di generare nuova cultura anche dopo le persecuzioni più terribili (ad esempio, i roghi nazisti del maggio ’33, ma anche i roghi delle antiche biblioteche armene a seguito dell’invasione musulmana). Il fuoco e il fumo sono elementi ricorrenti nel processo creativo di Boghossian, che ha trovata la sua cifra in una tecnica ancora poco sfruttata. La curatela di Bruno Corà offre un’ampia panoramica del suo lavoro, onirico e astratto nella forma, ma dai concetti profondamente legati alla realtà storica. Di famiglia armena, ma nato in Siria e cresciuto in Libano, Boghossian ha vissuto di persona le tragedie della guerra civile, e le bruciature sulla tela ricordano i fori dei proiettili sui muri di Beirut, così come quelli sui muri alle spalle degli armeni fucilati durante il genocidio del 1915. E ancora, il fumo e la fiamma sono mezzi per manipolare i colori, per creare quelle atmosfere oniriche dove l’anima trova rifugio nei momenti più bui. Una mostra affascinante e coinvolgente, dall’afflato storico ma dal linguaggio contemporaneo.
– Niccolò Lucarelli
Padiglione Georgia
Arsenale
Padiglione Armenia
Palazzo Zenobio
Dorsoduro, 2596, Venezia
www.labiennale.org
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