Cancellata la performance di Bifo su Auschwitz e rifugiati a documenta 14. Ne è nato un dibattito
Dopo la cancellazione della performance Auschwitz on the Beach di Franco Berardi in arte Bifo dalla programmazione di documenta 14 a causa delle polemiche sollevate in Germania per l’accostamento della crisi dei profughi allo sterminio degli ebrei, presso il Federicianum a Kassel ha avuto luogo “Shame on us”, un dibattito pubblico sull’avanzata dei fascismi e la crisi dei migranti.
Auschwitz on the Beach è il titolo della performance del filosofo e attivista bolognese Franco Berardi Bifo che avrebbe dovuto far parte della programmazione pubblica di documenta14 ed essere eseguita lo scorso 24 agosto presso il Federicianum a Kassel. La performance avrebbe affrontato il tema dell’avanzata dei nuovi fascismi in Europa e della tragica sorte di chi continua a morire nel tentativo di trovare la salvezza da guerre e miseria nel nostro continente. Avrebbe, perché il curatore della programmazione di documenta 14 Paul Preciado, il direttore artistico Adam Sczymczyk e lo stesso Franco Berardi hanno deciso di cancellare la performance a causa delle enormi polemiche sollevate da politici, giornali tedeschi e centri di cultura ebraica.
I FATTI
Le critiche sono state infatti durissime. Charlotte Knobloch, presidente della comunità israeliana di Monaco e Oberbayern, in un articolo sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung, ha definito Auschwitz on the Beach “un’operazione grottesca”. Secondo Knobloch “inserire il dibattito sui rifugiati nel contesto dello sterminio sistematico degli ebrei è insostenibile e testimonia una incredibile ignoranza e mancanza di pudore. L’olocausto è un crimine singolare e senza precedenti. Ogni relativizzazione deve essere vietata”. Sull’ Hessischen/Niedersächsischen Allgemeinen, il sindaco di Kassel Christian Geselle ha descritto il titolo della performance come “una mostruosa provocazione”. Persino il ministro della cultura tedesco Boris Rhein è intervenuto nel dibattito, definendo la performance di Franco Berardi “di cattivo gusto”. Geselle e Rhein hanno inoltre chiesto alla procura di Kassel di intervenire sul caso e disporre la cancellazione dell’evento, la quale tuttavia non ha ritenuto di dover procedere in questa direzione.
LE RAGIONI DI BIFO
Il titolo della performance era evidentemente e volutamente provocatorio. Bifo si è difeso dalle accuse che gli sono state rivolte, spiegando come la sua intenzione non fosse affatto quella di banalizzare o ridurre la portata catastrofica dell’olocausto, ma al contrario, quella di sottolineare l’altrettanta incommensurabilità della catastrofe che si sta compiendo sotto i nostri occhi: migliaia di donne e uomini annegati ogni anno nel Mediterraneo, accordi per il blocco del flusso dei migranti tra i governi europei e quelli di Ankara e di Tripoli, che imprigionano i migranti in veri e propri campi di concentramento, chiusura di frontiere tra gli stati europei e violenza della polizia nei confronti dei rifugiati. “Se, dopo molte esitazioni avevo deciso di usare l’espressione (certo provocatoria) Auschwitz on the beach” scrive Franco Berardi in un suo post su Facebook “lo avevo fatto perché quel nome mi pareva uno scudo, una protezione contro il pericolo (a mio parere sempre più attuale) che Auschwitz ritorni”.
UN DIBATTITO PUBBLICO INVECE DELLA PERFORMANCE
Con la capacità di sintesi che contraddistingue gli anglosassoni, il titolo dell’articolo apparso sul New York Times riassume efficacemente quanto accaduto: I rifugiati stanno subendo una “Auschwitz on the Beach”? La Germania dice di no. Tuttavia, nonostante Auschwitz on the Beach non abbia mai avuto luogo, o forse proprio per questo, la provocazione ha avuto il suo effetto e superata l’iniziale reazione di disapprovazione generale, l’intenso dibattito attorno alla questione ha portato molti a riflettere sull’effettiva gravità di ciò che sta accadendo e a chiedersi se effettivamente sia così fuori luogo paragonare i campi costruiti sulle coste libiche, in cui migranti sono imprigionati, torturati e violentati, ai lager nazisti. “Abbiamo dimenticato cosa significa la promessa ‘mai più Auschwitz’?”, si chiede Philippe Ruch del Zentrum für Politische Schönheit. Dopo la sua cancellazione, la performance Auschwitz on the Beach è stata sostituita da un dibattito pubblico dal titolo sicuramente meno provocatorio, ma decisamente più commovente: Shame on Us. L’evento che ha avuto luogo nel Parlament of Bodies presso il Federicianum ha visto una larghissima partecipazione e il coinvolgimento attivo anche di esponenti delle associazioni ebraiche che avevano chiesto la cancellazione della performance. Shame on Us è stato un atto di autoaccusa collettivo, dal quale si è levato un appello per fermare lo sterminio in atto di cui noi europei siamo vergognosamente corresponsabili.
– Felice Moramarco
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