Capricci (VII). Il mondo a pezzi
Mentre la realtà crolla e si sfalda, esiste una giovane generazione che ha raggiunto il primato della nostalgia senile. Guardando con malinconia agli Anni Novanta e all’epoca pre-social network.
“Watching endless repeats –
Out of sight, out of mind
Silence, indifference:
The ultimate crime”.
Roger Waters, Part Of Me Died
Luglio-agosto 2017.
Allontanarsi. Deragliare. (Prevedere l’imprevisto.)
Il mondo a pezzi, il mondo è a pezzi.
L’onestà consiste non solo nel saperlo e nel verificarlo, ma nel dirlo chiaramente – con opere parole pensieri.
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E mi resta solo di ributtarmi a capofitto nei libri, uno dopo l’altro – come ha detto Achille l’altra notte in spiaggia, “basta che gli dai una biblioteca intera a disposizione, tutto il giorno, e fai la sua felicità” – a sette anni in ‘veste-da-camera’, bordeaux e blu, con gli occhiali in osso (come nella foto in camera da letto), seduto a leggere e a scrivere – e poi di nuovo seduto, o steso, a leggere e a scrivere per i successivi tre decenni – praticamente si può dire che faccio la stessa vita, con minime variazioni, da un sacco di tempo – la concentrazione è tutto, a patto di conservarla abbastanza a lungo; eppure sono sempre stato convinto di avere scarsa memoria – adesso per esempio sono seduto a scrivere con una normalissima bic su un taccuino dalla forma a cuore, a un tavolino nel bar accanto al Museo Pascali di Polignano a Mare – e l’umile utile puro gesto di scrivere risulta così alieno in ogni contesto da risultare istantaneamente piacevole – nel flusso, una volta che si allineano sulla pagina, i pensieri prendono subito corpo, riga dopo riga, si assestano e si assemblano – mentre scrivo i piani i ricordi e tutto quanto, nella mia testa, non si dispongono in sequenza ordinata ma confliggono e si sovrappongono, arrivano da tutte le parti ed è magari difficile afferrarli, catturarli – più facile è stare, semplicemente, a contemplarli con la bottiglia di birra in mano, in questo tardo pomeriggio di fine luglio… la condensa della birra nel frattempo ha macchiato l’angolo in alto a sinistra della pagina, l’inchiostro giusto un po’ scolorito – Eddie Vedder che si commuove alla fine dell’omaggio in concerto all’amico Chris Cornell – il filo si è interrotto, spezzato – mi sa che torno a Digiunare, divorare di Anita Desai, va.
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La mano scrive, i pensieri seguono.
Si fa presto a dimenticare – e si preferisce dimenticare. Quando le persone crescono, “maturano”, preferiscono immergersi in “cose-da-grandi”, immergersi totalmente, dimenticando e cancellando il passato, chi erano e chi sono stati, che cosa hanno pensato e perfino se hanno pensato qualcosa, preferiscono credere di essere stati sempre così, di aver affrontato la vita sempre allo stesso modo, in questo modo – e se c’è qualche incongruenza, se risulta qualche discrepanza, al massimo ti dicono: “eh vabbé, ma eravamo giovani”. Che orrore – e che crimine – percepire così l’esistenza. Che faccenda barbara e assurda.
Ti commuovi per le ciabatte nere ricoperte di terriccio rosso raccolto nel tratto di parcheggio improvvisato tra i trulli e i fichi d’india; ti commuovi per i pesciolini bianchi e argentati visti sott’acqua, con gli occhialini gialli da due euro presi da Decathlon a Torino; ti commuovi per tutti gli scrittori che hanno trovato la propria vera voce, che sono riusciti a trovarla, e questa voce corrisponde poi a nient’altro che agli “impulsi cerebrali profondi” (Stephen King), al ritmo del respiro e dell’anima, al respiro dell’anima, e a chi importa se questa voce individuale unica irripetibile la leggono in tanti o in pochi.
Una scrittura fatta veramente come un collage di pensieri – tante linee e tanti strati, assemblati, che si intrecciano – e ogni linea corrisponde a una traccia di pensieri, che come accade nel cervello non è limpida, scollegata dalle altre ma fusa e confusa con esse. COMPRESENTI.
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“Yes, everyone seems to be asleep” (Trent Reznor).
La nostra è la prima generazione ad aver sviluppato in tarda gioventù (se così si può chiamare) una vera e propria forma senile di nostalgia – nostalgia per i vent’anni, nostalgia per gli Anni Novanta, nostalgia addirittura per gli Anni Zero (pre-social network, questa amabile disgrazia quotidiana che ha catturato le menti e i cuori…).
(Sprofondare dei e nei livelli: gli scogli e il mare. Alterazione del punti di vista; disidentificazione.)
Gli scogli e il mare – il contesto e l’opera – cogliere la dimensione, mentre tutto sta finendo, mentre tutto sta già crollando – le versioni deteriorate di noi stessi e dei nostri pensieri, a volte, possono funzionare meglio di quelle integre – (cogliere gli aspetti laterali, marginali delle faccende di cui ci occupiamo).
‒ Christian Caliandro
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