Creatività e consumo. I cultural influencer
Categoria sempre più diffusa, i cultural influencer sono l’evoluzione “social” dei consumatori di cultura. Un’entità collettiva che non può essere ignorata, nelle sue nuove forme, dalle istituzioni del settore.
È patrimonio condiviso la presa d’atto, osservando come va il mondo, di un consumatore culturale (e non solo) profondamente cambiato rispetto al passato, e in continua veloce trasformazione. Il web ha messo a disposizione una mole di dati e informazioni (più o meno fake) tale da rendere il consumatore produttore (si utilizza il neologismo prosumer), spesso incostante e infedele, ma quasi sempre influencer.
Il suo potere nel frattempo si è infatti fortemente ampliato, non sempre consapevolmente. Non a caso, coloro che hanno percepito questo nuovo “vantaggio competitivo” si sono candidati al ruolo di “specifier”, di intermediari di qualità decisivi nell’influenzare scelte, decisioni, comportamenti, consuetudini. Entrano nella routine trasformandola in qualcosa di speciale, puntando sulla distinzione, sull’esclusività, senza tirare necessariamente in ballo l’aspetto economico: il prezzo e le policy a esso collegati sono variabili (in parte sempre meno determinanti) che vanno di pari passo con un nuovo comune senso di appartenenza alla community, anzi alle comunità (plurale) dei follower, dei “mi piace”, dei “re-qualcosa”, diversamente allocati o dislocati, nel tempo di un battito di ciglia.
“Le potenzialità sono moltissime, a cominciare dallo sviluppo di nuove soft skills, fino all’obiettivo di trasformare la propria istituzione culturale in un top influencer”.
Di fronte a questo fenomeno, come stanno reagendo le nostre istituzioni culturali? Nella migliore delle ipotesi hanno sviluppato un’efficace gestione dei social nel loro combinato disposto (in altre parole, li gestiscono tutti e non uno solo, in primis Facebook) perché nella Rete transitano le conversazioni influenti e influenzanti. Nel peggiore dei casi (ancora la maggioranza, ahinoi) si continua a puntare sull’hardware in un contesto autoreferenziale che non si pone domande neppure su primo accesso, audience development, irritants ecc. All’interno di questi poli, le casistiche più diverse.
Eppure le potenzialità sono moltissime, a cominciare dallo sviluppo all’interno dello staff di nuove soft skills, fino all’obiettivo auspicabile di trasformare la propria istituzione culturale in un top influencer.
Come fare? Intanto cominciamo a porci la questione, e poi a stringere alleanze, anche social, con grandi brand (non solo culturali) con cui condividere un sistema di valori. Oppure si può pensare, per l’ennesima volta, di fare tutto da soli; al momento difficile giudicare e consigliare, perché ancora siamo a corto di letteratura. In tutti i casi: buona fortuna.
‒ Irene Sanesi
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #37
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