In equilibrio sull’intuizione. L’ultima mostra di Axel Vervoordt a Venezia
Palazzo Fortuny, Venezia ‒ fino al 26 novembre 2017. Si conclude con una rassegna che non disattende le aspettative il dialogo decennale fra il collezionista belga e i Musei Civici veneziani. Una passeggiata lungo i crinali di un tema sfuggente e carico di suggestioni, proprio come la dimora che ne restituisce le innumerevoli sfumature.
Sono trascorsi dieci anni da Artempo, la mostra che, nel 2007, inaugurò la collaborazione destinata a trasformarsi in uno scambio quasi simbiotico, organico fra la raccolta di Axel Vervoordt e quella custodita dal palazzo che un tempo appartenne a Mariano Fortuny. Un dialogo riuscito e in continuo mutamento, incurante delle vette tematiche da scalare di biennio in biennio. Se Infinitum dava corpo a una vertigine generata da un simbolo universale e Proportio scandagliava limiti e risorse della geometria, Intuition sembra porsi coraggiosamente sul limite di un argomento sdrucciolevole e filosoficamente spinoso.
In bilico fra il dominio del sensibile e la logica del trascendente, l’intuizione si muove con passo spedito, dall’interno all’esterno, emergendo con l’irrequietezza del qui e ora e poi mettendo radici nella concretezza della forma, tuttavia mai così a lungo da lasciarsene imbrigliare. La mostra, che, come quelle precedenti, si innesta nell’epidermide del palazzo e della sua collezione, rispetta i movimenti sincopati del flusso intuitivo, procedendo per balzi e ritorni, corse in avanti e stasi improvvise, portando occhi e gambe su binari solidi, ma di cui non si intuisce la fine.
GUIZZI, SALTI E PASSAGGI
Ecco allora che la materia si mescola al colore e con un guizzo diventa forma se lo sguardo accetta di tuffarsi nel biancore percettivamente alienante della circolarità evocata da Anish Kapoor ‒ forse unica via di accesso alla linea di confine della quale l’intuizione è emblema ‒ per poi osservare in punta di piedi la fumosa cortina progettata da Ann Veronica Janssens, simbolo liminale del contatto fra il dentro e il fuori, e arrampicarsi sulle forme di steli neolitiche antropomorfe. Salvaguardato dalla natura stessa dell’intuizione, il passaggio dal concreto all’astratto, da un passato lontano al tempo contemporaneo, da geografie a epoche differenti segue l’evidenza del salto, dell’associazione, delle stesse regole di una scrittura automatica che trova in Robert Morris o Isa Genzken degli ottimi, e forse inattesi, interpreti.
Non c’è margine per le soste né per le certezze: gli effetti dell’intuito possono durare giusto un attimo di euforia oppure radicarsi nel presente e diventare futuro, ma senza essere prevedibili con largo anticipo.
Se l’intuizione vive nell’adesso, la sua metafora più riuscita è la stanza nera riservata a Lucio Fontana: un’esperienza immersiva che sembra azzerare fiato e pensieri, ma che, in realtà, offre nuova linfa vitale a un processo incapace di raggiungere una tregua.
‒ Arianna Testino
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