Cantieri e rovine
L’esempio più clamoroso fu Berlino negli Anni ’90. È lì che è nato il turismo di massa dei cantieri. Che non è soltanto una cosa da pensionati, ma interessa una fetta di pubblico sempre più ampia.
Nel maggio del 1828, racconta Stendhal nelle sue Passeggiate romane, un gentiluomo inglese entrò a cavallo nel Colosseo e vi trovò “un centinaio di muratori e di galeotti che sono sempre lì a rinforzare qualche pezzo di muro rovinato dalle piogge. La sera”, prosegue Stendhal, “ci ha detto: ‘Per Dio! Il Colosseo è la cosa più bella che abbia mai visto a Roma; mi piace, e sarà magnifico quando sarà finito’. Ha creduto che quel centinaio di uomini stessero costruendo il Colosseo”. L’aneddoto ci fa sorridere e pensare ai tanti strafalcioni che escono dalle bocche dei turisti di oggi. Lo sprovveduto milord, tuttavia, coglieva un’indubbia verità: la somiglianza riscontrabile tra i cantieri e le rovine, tra gli edifici in costruzione e quelli soggetti a una lenta scomparsa. In entrambi i casi si è di fronte a luoghi in transizione, dove l’incompiutezza celebra il suo trionfo, perché qualcosa ancora manca o perché qualcosa non c’è più. Il compito di completare spetta all’immaginazione del visitatore, che in un caso si figura ciò che sarà e nell’altro quel che è stato (ma non solo: qualcuno riserverà forse un pensiero anche a ciò che si potrebbe fare per riportare in vita i luoghi abbandonati).
“Dall’Incompiuto Siciliano alla Città dello Sport di Calatrava, a Roma, è lunga la lista di questi luoghi che scatenano una ridda di sentimenti contrastanti: al senso del sublime si accompagna la rabbia per tanto spreco di denaro pubblico“.
Come un tempo le vestigia antiche, da qualche decennio i cantieri sono divenuti oggetto di ammirazione estetica e meta di visite guidate, secondo modalità impensabili per il passato: ve lo immaginate Bernini che accoglie un gruppo di visitatori nel cantiere del Colonnato, con Papa Alessandro VII che benedice gli astanti affacciato a una finestra? Il fenomeno ha trovato una delle sue più clamorose affermazioni in quell’unico enorme cantiere che è stata la Berlino degli Anni Novanta e Zero: un vero e proprio Baustellentourismus, con visite, percorsi, punti informazione. Il sofferto paesaggio punteggiato di rovine (a cominciare da quelle del Muro) e di gru in perpetuo movimento vantava una straordinaria forza visiva, che spesso il risultato finale non è stato in grado di eguagliare (vedi Potsdamer Platz).
CANTIERI INFINITI
Tornando al di qua delle Alpi, merita segnalare soprattutto i molti cantieri infiniti che dolcemente si tramutano in rovine, senza che gli erigendi edifici siano mai stati completati né siano serviti a qualcosa, neppure per un solo giorno. Dall’Incompiuto Siciliano alla Città dello Sport di Calatrava, a Roma, è lunga la lista di questi luoghi che scatenano una ridda di sentimenti contrastanti: al senso del sublime si accompagna la rabbia per tanto spreco di denaro pubblico. Ma anche per queste rovine moderne, come per quelle antiche, la parola ‘fine’ non è ancora scritta: possono tornare a essere cantieri, magari per usi e ruoli completamente diversi da quelli previsti originariamente.
‒ Fabrizio Federici
Articolo pubblicato su Grandi Mostre #6
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