I luoghi della cultura
Tra le fila di chi si occupa d’arte, il nemico sembra essere l’“evento” e la “mercificazione” dell’arte. Ma, forse, ciò che destabilizza è la perdita del carattere esclusivo di una iniziativa.
Una delle logiche che maggiormente caratterizza il mondo dell’arte in termini di afflussi e di “successo” è la logica di mercato dell’evento: dalle biennali alle fiere sino ai finissage, l’agenda di chi frequenta artisti e gallerie è piena di eventi (più o meno) imperdibili: tutto ciò è naturale.
Nei libri di economia si studia che quella nota come “event marketing” è una strategia di promozione del bene (prodotto o servizio) che punta sulle leve dell’esclusività e dell’effimero, concetti che sono propri del mondo artistico.
Stranamente, tuttavia, non è raro che eventi legati a un’opera d’arte o a una mostra possano divenire tutt’altro che esclusivi e che (pur mantenendo il carattere di temporaneità) possano giungere a essere veri e propri attrattori turistici (il caso di Christo al Lago d’Iseo nel 2016 è talmente noto da renderne la citazione quasi ovvia).
Proprio in virtù di quell’esclusività, quando ciò accade, gli amanti dell’arte restano allibiti e, in fondo, un po’ amareggiati (se l’esclusività è un ingrediente importante dell’arte, trovarsi di fronte a un “falso-esclusivo” riduce evidentemente la soddisfazione intima di queste persone). Da questi stati d’animo derivano poi, di volta in volta, aspre critiche sulla mercificazione dell’arte (la rassegna stampa di Christo era piena di esimi critici che si chiedevano se le persone fluttuanti fossero state attratte più dall’opera che dall’evento).
“Luoghi della cultura generalmente poco frequentati, comuni o borghi sui cui bilanci non gravano troppi oneri per eventi di comunicazione potrebbero disporre, ovviamente affiancati da professionisti, delle risorse necessarie per organizzare azioni programmatiche di ampio respiro”.
Gli eventi di questo tipo, in realtà, dovrebbero essere auspicati, proprio per quella potenza attrattiva che hanno sulle persone che non frequentano i vernissage e le gallerie e che magari, prese da interessi non necessariamente meno validi, hanno bisogno di un motivo “in più” per entrare in un museo o visitare una mostra temporanea.
Un’altra caratteristica di questa tipologia d’intervento culturale è che, in genere, richiede un discreto investimento in termini di comunicazione e logistica, fattori che, in modo piuttosto contro-intuitivo, potrebbero favorire la creazione di eventi di questo tipo in località cosiddette minori.
Luoghi della cultura generalmente poco frequentati, comuni o borghi sui cui bilanci non gravano troppi oneri per eventi di comunicazione potrebbero disporre, ovviamente affiancati da professionisti, delle risorse necessarie per organizzare azioni programmatiche di ampio respiro, che porterebbero loro, oltre a un afflusso temporaneo di maggiori visitatori e, a seconda dei casi, un aumento stagionale (seppur minimo) dell’occupazione, anche ottimi risultati di “brand awareness”, che in termini di valorizzazione territoriale è proprio l’obiettivo da perseguire.
Non è un caso che, in tutte le categorie merceologiche, l’event marketing venga utilizzato per il “lancio” di un nuovo prodotto. L’Italia è piena di borghi fantastici e di località semisconosciute e semidimenticate. L’arte, per queste zone, potrebbe essere davvero la risposta.
‒ Stefano Monti
Articolo pubblicato su Grandi Mostre #6
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