Uno spazio senza chiusure

Essere presenti scomparendo. E questa la chiave per vivere il tempo contemporaneo, fatto di strane forme di presenza combinate a strane forme di assenza?

Harlem, 5th Avenue e 116 St. Un parrucchiere aperto sette giorni su sette, dentro signore nere e chicane, i cartelli in inglese e in spagnolo: “WATCH YOUR CHILDREN! THIS IS A BUSINESS, NOT A PLAYGROUND. THANK YOU”. La porta scheggiata e scrostata, è saltata anche la H di PUSH, marrone e un verde indefinibile, Anni Settanta. Scope e pattumiere, sedute storiche, cornici di neon scarichi e porte fuori moda. Da Harlem Shake su Lenox Avenue il bagno era tutto foderato di copertine di Jet, con gli eroi della cultura afroamericana dal 1956 a oggi. Dal bianco e nero ai colori, Obama Bill Cosby Jesse Jackson Michael Jackson ecc. ecc. Cromature ovunque…
Uno spazio-senza-chiusure”: è lo spazio del XXI secolo, il nuovo spazio: una nozione che riguarda non solo l’arte visiva, ma la filosofia, la scienza, la letteratura, l’architettura.

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Eugenio Tibaldi, Questione d'appartenenza 03, 2015, dettaglio. Photo Carl D'Alvia

Eugenio Tibaldi, Questione d’appartenenza 03, 2015, dettaglio. Photo Carl D’Alvia

In volo da New York a Milano, ore 20,55 (prima del decollo). E dopo sei giorni hai ancora il jet lag, questo tipo di stanchezza che ti intrappola il cervello e ti spossa – Central Park e la Trump Tower, Columbus Circle, l’ufficio dell’American Academy in Rome tra Madison e 60 St, il bagel con salmone cream cheese alle erbe e pomodoro – il librone da mille pagine con l’Atlas di Gerhard Richter accanto al divano letto a casa di Carl e Jackie – Harlem il giorno della maratona, sotto la pioggia, con il quartetto vestito d’argento che canta dolci e spensierate canzoni soul Anni Sessanta – le icone dello sport, dello spettacolo e dei diritti civili che tappezzano il bagno di Harlem Shake, e le patatine con chili e formaggio – la lettura de La pattuglia dell’alba di Don Winslow (non un granché, in effetti) e la scritta alla base della croce luminosa davanti alla chiesa gospel (St. Martin’s Episcopal Church): “TRUMP IS A MONSTER WITH LITTLE HANDS. HE MAKES KIM JONG UN LOOK LIKE SOCRATES” – il video devastante di Snoop Dogg (Badbadnotgood), ironia abrasiva e critica sociale in salsa hip hop, con i poliziotti aguzzini travestiti da clown e da futuro presidente – le foto di Raghubir Singh e il Criminal Being Executed (1964) di Peter Saul visti al Met Breuer – alla fine ciò che mi piace è sempre abbastanza disgustoso, violento, maleducato, inaccettabile e irredimibile per l’epoca in cui appare, sbagliato, e voglio vederne (per bene) anche oggi di capolavori fatti così, che sconvolgono l’ordine in cui emergono e in cui si tuffano, un ordine fatto di classi e di gerarchie e di paroline e di proibizioni e di segnali e di codici e di umiliazioni – l’umiliazione come cifra generale di un’epoca che più si espone più sembra maniacalmente insicura, più si propone più sembra confusa… Arrogante e confusa…

Peter Saul, Criminal Being Executed, 1964, in mostra da Delirious Art at the Limits of the Reason 1950-1980

Peter Saul, Criminal Being Executed, 1964, in mostra da Delirious Art at the Limits of the Reason 1950-1980

Allora, contro la cafonaggine dell’ostentazione che maschera fragilità incorreggibili, è forse il caso di praticare definitivamente un’arte del nascondimento, sapere mimetizzarsi, confondersi con il terreno e con il contesto, volere scomparire (ma sul serio), cercare il limite in cui un’opera smette di funzionare in quanto tale per entrare nella VITA – poi torna indietro, non contenta – provare ad attraversare e riattraversare questo confine, continuamente.
L’esperienza di questo attraversamento ha a che fare con la possibilità di agganciare il presente nelle sue forme meno risolte e retoriche. D’altra parte, molta arte significativa del XXI secolo sembra già consistere in un solo apparentemente paradossale “essere-presenti-scomparendo”: nel combinare cioè una strana forma di presenza con una strana forma di assenza. (E che cos’altro, se non proprio questo, è il contemporaneo oggi?)
Dunque, opere che si nascondono così bene nello spazio, nella vita quotidiana, tra i gesti e gli oggetti comuni, da imporre automaticamente allo spettatore un altro tipo di fruizione, un altro tipo di percezione, un altro tipo di sguardo – da chiedere allo spettatore in qualche modo di non essere più spettatore, e di non partecipare in maniera passiva – opere che praticano l’imprevisto, che si strutturano nell’imprevisto, che funzionano a scatti, a spizzichi e bocconi – opere e artisti umili: che si sottraggono.
Che sostituiscono facilmente la pratica alla teoria, e che anzi identificano totalmente la teoria nella pratica: “è un mondo pieno di nomadi col sacco sulle spalle, Vagabondi del Dharma che si rifiutano di aderire alle generali richieste ch’essi consumino prodotti e perciò siano costretti a lavorare per ottenere il privilegio di consumare tutte quelle schifezze che tanto nemmeno volevano veramente come frigoriferi, apparecchi televisivi, macchine, almeno macchine nuove ultimo modello, certe brillantine per capelli e deodoranti e generale robaccia che una settimana dopo si finisce col vedere nell’immondezza, tutti prigionieri di un sistema di lavora, produci, consuma, lavora, produci, consuma, ho negli occhi la visione di un’immensa rivoluzione di zaini migliaia o addirittura milioni di giovani americani che vanno in giro con uno zaino, che salgono sulle montagne per pregare, fanno ridere i bambini e rendono allegri i vecchi, fanno felici le ragazze e ancor più felici le vecchie, tutti Pazzi Zen che vanno in giro scrivendo poesie che per puro caso spuntano nella loro testa senza una ragione al mondo e inoltre essendo gentili nonché con certi strani imprevedibili gesti continuano a elargire visioni di libertà eterna a ognuno e a tutte le creature viventi…” (Jack Kerouac, I vagabondi del Dharma, 1958).

Christian Caliandro

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Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

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