Dal mondo accademico all’arte contemporanea. L’editoriale di Gabriella De Marco
Professore ordinario di Storia dell’arte contemporanea presso il Dipartimento Scienze Umanistiche dell’Università di Palermo, Gabriella De Marco riflette sull’urgenza di rinnovare il dialogo fra università, ricerca, istituzioni museali e organi di stampa. Traendo spunto dalle parole di Lorenzo Giusti in occasione del convegno torinese “Museums at the Post-Digital Turn”, andato in scena alle OGR durante Artissima. Anche stavolta Artribune conferma il suo ruolo di piattaforma ospite di conversazioni e dibattiti legati alle dinamiche del presente.
Durante l’intervista in occasione del convegno torinese Museums at the Post-Digital Turn, Lorenzo Giusti sottolineava come l’accademia italiana sia, pur con delle eccezioni, se non sorda, disinteressata rispetto a tematiche non solo attuali, ma ricche di implicazioni importanti quali, tra le molte affrontate nel convegno, il ruolo del museo e della storia dell’arte nell’era del post- digitale, la possibile modificazione del concetto di paternità dell’autore nell’opera d’arte contemporanea o, ancora, la percorribilità e la creazione di piattaforme digitali.
Argomenti urgenti che vanno affrontati, pur con gli opportuni distinguo e con il necessario senso critico, perché, ormai, costituiscono la realtà dei nostri giorni.
Bene hanno fatto, dunque, i curatori del convegno a proporli con l’opportuno, quanto apprezzabile, respiro scientifico a conferma, qualora ce ne fosse bisogno, che l’universo umanistico e il mondo tecnico-pratico devono essere complementari. Argomenti di cui chi scrive si occupa da tempo nella convinzione che la cultura, proprio perché non è immobile, deve confrontarsi in maniera intelligente con le nuove tecnologie. (Ricordo, soltanto, la mia riflessione Sull’avvio del canone negli studi di storia dell’arte contemporanea nell’era della globalizzazione digitale. Spunti da uno scritto di Cesare Segre in ClassicoContemporaneo, 2/2016).
“Ciò che manca in molti dibattiti, confronti o polemiche sull’arte contemporanea in Italia e che, a mio parere è, invece, fondamentale, è la necessità di ribadire il suo spazio all’interno della centralità della cultura umanistica. Centralità sempre più necessaria in una società dove prevale una visione utilitaristica del sapere”.
Molti, quindi, i temi su cui si potrebbe intervenire prendendo spunto dall’iniziativa torinese. Tuttavia, mi soffermerò sull’aspetto che riguarda il mondo accademico. Non conosco, a riguardo, le motivazioni dell’esigua presenza al convegno, lamentata nell’intervista, degli storici dell’arte e degli universitari italiani, ma non credo sia questo il problema.
Non che l’università abbia bisogno di perorazione di difesa: non spetta a me, infatti, sostenere le ragioni dell’istituzione e ancor più della categoria e ciò perché da questo punto di vista la questione, oltre a essere risibile, risulterebbe mal posta.
Diversamente, mi appare necessario, se non urgente, proprio sulla scia delle considerazioni di Giusti, riflettere sul museo e sul sistema dell’arte contemporanea in Italia nell’era della globalizzazione e delle reti sociali, e su quella che a me appare come un’incomprensibile frattura che sempre più si sta delineando tra la sfera della ricerca, e particolarmente della ricerca universitaria, e la complessa quanto necessaria galassia fatta di fondazioni, musei, gallerie, reti sociali, stampa e quant’altro contribuisce, quotidianamente, a mettere in moto la delicata macchina della cultura e dell’arte.
Universi che certo hanno caratteristiche e ruoli differenti ma che, a mio avviso, devono, dovrebbero, essere comunicanti, indipendentemente dalle relazioni professionali dei singoli. E questo proprio per acquisire quella visione dall’alto, quello sguardo d’insieme sempre più necessario non solo in un mondo globale ma in considerazione di quella complessità dei saperi, che è la forza delle discipline umanistiche.
Al contrario, verifico, costantemente, pur con le opportune eccezioni, una mancanza di confronto dettata, probabilmente, sia da pigrizia sia dalla necessità di consolidare, evitando lo scambio, reciproche posizioni di “potere”.
LA NECESSITÀ DI FARE RETE
Un’assenza di dialogo, una separazione che impedisce, al di là delle solite lamentazioni, di “fare rete”. In questa sorta di sintetico schizzo dell’esistente e che qui, per evidenti motivi di spazio, posso solo abbozzare in forma frammentaria, proprio perché il sistema della cultura attuale è, anche, centrato su un presente magmatico, fluente, innervato da aspetti coesistenti e ricchi di insidie, e di cui non è sempre possibile fornire valutazioni univoche, c’è il rischio che la comunità culturale, fruitore compreso, si raccolga all’interno di una propria bandiera dando luogo a ghetti dorati ma, spesso, non comunicanti.
Ciò che manca in molti dibattiti, confronti o polemiche sull’arte contemporanea in Italia e che, a mio parere è, invece, fondamentale, è la necessità di ribadire il suo spazio all’interno della centralità della cultura umanistica. Centralità sempre più necessaria in una società dove prevale una visione utilitaristica del sapere.
Questo perché, nelle sue diverse quanto sfaccettate componenti, la cultura umanistica, nella sua “inutile utilità”, per rifarsi alla bildung cara ai tedeschi, fornisce e affina la capacità di comprensione, riflessione e giudizio critico ponendosi, come tutto ciò che è teso a renderci più intelligenti, come importante quanto necessario baluardo di democrazia.
Un compito arduo, difficile, che coinvolge attori diversi ma insostituibili e in cui, innegabilmente, la scuola, l’università, il museo, le istituzioni pubbliche e private, unitamente a quella comunità fatta di artisti, critici e cittadini svolgono un ruolo fondamentale. Un compito dove l’università ha una responsabilità non irrilevante a cui certo non può sottrarsi.
Così, per concludere, soltanto se inserita all’interno di un progetto più ampio e con il coraggio di gettare il cuore oltre l’ostacolo, l’arte contemporanea, nel suo insieme di ingranaggi appena evidenziati, potrà acquisire il giusto quanto auspicato spazio.
Si corre il rischio, altrimenti, di scatenare una sorta di continuo quanto improduttivo rumore di fondo destinato a generare solo entropia.
‒ Gabriella De Marco
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