Nuova vita per le OGR torinesi. L’editoriale di Fabio Severino
Da poco inaugurate, le nuove Officine Grandi Riparazioni di Torino sono al centro di un ampio dibattito. La riflessione di Fabio Severino guarda al terzo settore, che in questo caso si è sostituito al pubblico per realizzare un grande recupero urbano.
Un progetto importante, le nuove OGR di Torino. Un progetto curato nei minimi dettagli da una nutrita squadra di giovani (e già questo è niente male). Le Officine Grandi Riparazioni, ex stabilimento industriale non lontano dal centro di Torino, acquistato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, da qualche settimana ha riaperto i battenti dopo un restauro lungo e costoso (100 milioni di euro, dichiara la proprietà; ma su questo approfondiremo). Almeno tre le anime: spazio spettacoli ed eventi; mostre; incubatore d’impresa (quest’ultimo aprirà nel 2018). Quanta domanda c’è di tali servizi a Torino e area metropolitana non è secondo me chiarissimo. Sappiamo che la città da vent’anni si sta mutando in un grande centro culturale. Tante le eccellenze e le rinascite. La formazione, da sempre un asset locale, sta crescendo, in particolare sui segmenti del design e dell’arte. L’Albertina è una grande Accademia, lo IED ha avuto un rilancio importante. La recente consacrazione dell’Unesco a Torino città del Design ha dato un’ulteriore spinta.
“Le OGR riuscirebbero ugualmente a stare in piedi se avessero un affitto da pagare? Il terzo settore si è sostituito al pubblico per fare una grande operazione di recupero e rigenerazione urbana, altrimenti forse improponibile”.
Le OGR sono una macchina costosa nella sua gestione ordinaria. Una grande cubatura storica, quindi “fragile”, recuperata in ogni centimetro. I centri di ricavo sono comunque tanti: noleggi per eventi privati, biglietteria per spettacoli e mostre, servizi di ristorazione, il grande incubatore d’imprese, una locazione uffici e ovviamente sponsorizzazioni. La domanda che pongo però è: riuscirebbe ugualmente a stare in piedi se avesse un affitto da pagare? Il terzo settore si è sostituito al pubblico per fare una grande operazione di recupero e rigenerazione urbana, altrimenti forse improponibile. Ha comprato e ristrutturato una grande cubatura degradata e degradante. Azzerando il costo iniziale, CRT ha dato la possibilità a chi si occuperà della gestione, lavorando sull’efficienza e producendo qualità e prodotti appetibili, di essere autosostenibile. In Italia ormai da un po’ le casse pubbliche, se non accedono ai fondi europei, difficilmente finanziano i recuperi. Eppure l’Italia, la vecchia Italia, è troppo piena di “cose” da ripensare e recuperare. Le risorse pubbliche, tante o poche che siano, sembrano invece sempre concentrate sul consumo del suolo. Meno costoso del recupero, ma altrettanto meno civico, lungimirante e sostenibile, soprattutto dal punto di vista sociale. Le nostre città sempre di più si espandono in brutte o scadenti costruzioni, lasciandosi alle spalle infiniti scheletri che invece avrebbero glorie da raccontare e da riproporre.
‒ Fabio Severino
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #40
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