Videogame della morte. L’editoriale di Lorenzo Taiuti
Quanto influisce la cultura dello spettacolo, cinema, videogame nella cultura assorbita da tanta gioventù emigrata dai Paesi islamici? Perché certe immagini sembrano tratte da uno dei tanti videogiochi violenti?
L’ultima carneficina di Barcellona [alla quale si è aggiunta, con le medesime modalità, quella a Manhattan, N.d.R.], al di là di dolore e condanna, ci porta ad alcune considerazioni e domande. La prima è: quanto influisce la cultura dello spettacolo, cinema, videogame e altro nella cultura assorbita da tanta gioventù emigrata dai Paesi islamici? L’estrema giovinezza dei terroristi, la rapidità con cui hanno organizzato e messo in atto un eccidio di quel livello fa pensare che nella testa degli autori ci siano iconografie e immaginari che vengono ripresi. A cui si aggiungono i veleni pseudo-religiosi del jihadista-imam di turno che falsa e utilizza la cultura islamica come supporto al terrorismo. Così come i video postati dall’Isis spettacolarizzano le uccisioni e le battaglie secondo immagini e immaginari holly-bollywoodiani.
E se l’uso di camion invece di mitra o tritolo è più economico e sicuro, fa anche pensare ai film come Fast and Furious e alla serie infinita di videogame basati sulla violenza e sulle corse. La sequenza dello slalom omicida tra la folla, l’incidente e la fuga verso un’altra macchina di cui il giovane terrorista ucciderà il conduttore per fuggire, saltando poi su una moto ecc. sembra la ricostruzione visiva di centinaia di sequenze simili, generalmente riprese o ricreate “in soggettiva” con il computer nei giochi di ruolo. Viene anche in mente Crash di James Ballard, funebre romanzo e poi film science fiction che analizza i rapporti fra oscure pulsioni di morte e la velocità mortale della macchina.
“La sequenza dello slalom omicida tra la folla, l’incidente e la fuga verso un’altra macchina sembra la ricostruzione di centinaia di sequenze simili, riprese “in soggettiva” con il computer nei giochi di ruolo”.
La seconda domanda è legata all’apparente invisibilità delle reti piccole o grandi che organizzano gli attentati. È così profondo il Deep Web da non permettere il riconoscimento di comunicazioni pericolose? A ogni attentato si parla di fenomeni spontanei, di gruppi familiari, salvo dover poi constatare che le comunicazioni cellulari e via Internet sono servite ed erano fondamentali per la riuscita degli attentati. Il controllo della rete sia web che cellulare è oggi enorme e sembra andare di quanto immaginiamo. Eppure queste comunicazioni sfuggono.
Dipende dalla mancanza di sharing di archivi digitali fra i vari Stati europei, come oggi si sta dicendo? Nel frattempo le chat legate ai video (impressionanti) di Barcellona sui social network si scatenano in ogni direzione, dalla condanna all’ambiguità, dal rifiuto etnico al rilancio del dialogo. Ma la reazione generale spoglia il fatto dalle motivazioni “politico-religiose” e definisce i killer per quello che forse sono: Natural Born Killers.
– Lorenzo Taiuti
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #39
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