La provincia di Ravenna riscopre la figura solitaria di Piero Dosi, pittore scomparso nel 2016
All’opera di riscoperta si affianca una mostra, articolata in tre comuni del ravennate, Lugo, Fusignano e Cotignola, curata da Claudio Musso, che ci ha raccontato il progetto. Un unico percorso dalle opere giovanili all’ultimo periodo.
“Le operazioni di riscoperta dei percorsi laterali sono oggi all’ordine del giorno, se ne trovano esempi eccellenti all’interno di Biennali, fiere o di manifestazioni di più ampio respiro come Documenta. L’idea iniziale di una mostra antologica che ponesse l’attenzione sull’opera di Piero Dosi è nata dapprima dalla volontà di alcuni amici e colleghi di spingersi oltre il ricordarlo, dopo la scomparsa un anno e mezzo fa. Il progetto ha poi trovato il sostegno delle istituzioni (Comuni e Regione) e si è concretizzato in un percorso espositivo diffuso nel territorio, una monografia, la ristampa anastatica di uno dei cosiddetti Diari (I giardini di Ravenna, 1984) e un sito internet che funge da archivio in progress”. A parlare è Claudio Musso, curatore, che il 3 dicembre inaugura una antologica dedicata a Piero Dosi, pittore originario di Lugo, scomparso nel 2016. A questa figura importante e solitaria è intitolata la mostra Piero Dosi. La Pittura dentro, che si svolge fino al 14 gennaio 2018, articolandosi in tre spazi, le Pescherie della Rocca di Lugo, nel Museo Civico di San Rocco a Fusignano e nel Museo Luigi Varoli di Cotignola, tre comuni gioiello del ravennate.
TRE SEDI, UN UNICO PERCORSO
Nonostante le tre sedi, la mostra è un unico percorso che analizza la produzione artistica di Dosi, in altrettanti tre momenti. Si parte dall’Epistolario Pittorico, che mette in scena le opere giovanili dell’artista, dal 1977 al 1980 con carte e opere su tela, con autoritratti e ritratti di artisti, tra iperrealismo e collage. La sezione inoltre comprende gli specchi che l’artista usava come strumenti e oggetti delle sue opere, con un fare introspettivo che lo accompagnò nella vita reale come in quella artistica. Qui, in una sorta di cerchio, sono presenti anche le opere riflessive dell’ultimo periodo, dove protagonisti sono proprio gli Specchi. Dal 2001 al 2016 Dosi riprende i temi dell’autoritratto e del paesaggio, le sue opere sono infrante e deformate come i dispositivi che utilizza.“È molto difficile”, continua infatti Musso, “inserire un artista che per scelta lavora ai margini in un discorso corale, tanto meno nella logica del gruppo. Di certo Dosi condivide con alcuni suoi coetanei in Italia, penso ai protagonisti della Transavanguardia, ai Nuovi Nuovi, un ritorno alla pittura e una vocazione citazionista, che nelle sue opere è visibile come copia/omaggio, da Bonnard a Kandinskij. Per la violenza espressiva del suo segno pittorico, ma in particolare nelle opere su carta, Dosi appare spesso come compagno di viaggio degli autori tedeschi e austriaci della sua generazione, come i Neuen Wilden, pur mantenendo una forte identità nel suo cammino individuale e solitario”.
L’EREDITÀ DI DOSI
Una seconda parte, a Fusignano, mette al centro gli anni tra il 1981 e il 2000, con giardini, paesaggi e figure. Le opere sono quelle della maturità artistica di Dosi, accompagnano ai già giovanili ritratti l’ingresso del paesaggio. Ma la figura umana, prima resa con fare quasi fotografico, ora è delineata con un approccio materico, dall’incontro tra figura e astrazione e con il tema archeologico.Chiude il cerchio, a Cotignola, lo spaccato su Carte, pagine e diari, in collaborazione con Massimiliano Fabbri che racconta disegni e acquerelli del maestro, infine, attraverso una installazione video, racconta l’attività dell’artista negli anni tra il 1980 e il 1984, ben documentati nei diari intitolati I giardini di Ravenna. Una sfida, la ricostruzione della vita e dell’opera di un artista che non è “irreggimentabile” in un bel preciso movimento o periodo storico e sul quale non esiste moltissima letteratura ragionata che un curatore come Claudio Musso, abituato a lavorare con le nuove generazioni di artisti ha saputo cogliere non senza qualche riflessione anche circa l’eredità che questo pittore lascia. “È la prima cosa che mi sono chiesto quanto mi è stato proposto di curare l’intero progetto dal comitato scientifico”, ha commentato. “Analizzando le opere di Dosi mi sono soffermato proprio sui Diari, due album di fogli rilegati realizzati tra il 1980 e il 1984 in cui l’artista sembra aver raccolto tutte le sue ossessioni tematiche (l’autoritratto, la relazione figura-paesaggio) e diversi gradi della sperimentazione sulle tecniche e in particolare sul segno. Convinto della sua attualità l’ho mostrato a Riccardo Baruzzi (che è nato proprio a Lugo trent’anni dopo Piero Dosi) e lui ha confermato la mia sensazione, tanto che nella monografia compare anche un suo testo dedicato al “disegno libero”. Oltre a questa reazione istintiva, credo che dell’opera di Dosi oggi sia interessante studiare i continui ritorni della (sua) pittura su sé stessa, un atteggiamento “archeologico”, postmoderno, in cui ogni opera racconta il suo sviluppo attraverso continui richiami alla storia dell’arte e alla storia dell’artista”
– Santa Nastro
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