Spagna e Italia in dialogo alla Biennale della Ceramica
Scuderie Aldobrandini ‒ Museo Civico Tuscolano e Mura del Valadier, Frascati ‒ fino al 28 febbraio 2018. Un elefante indiano nella terra dei romani segna la strada della ceramica contemporanea tra artisti italiani e spagnoli. Nell’ambito della Biennale dedicata a una pratica antica.
All’ombra della selvaggia vegetazione di Tusculum, tra i resti delle ville dei patrizi e degli illustri romani che si allontanavano dalla Città Eterna per riposo e svago, la terra ha restituito un segno di quei tempi arcani. È una inedita protome di elefante indiano in marmo di età imperiale. Di raffinata fattura, con le zanne affilate e il muso rigato a ricordare la rugosità della pelle, il reperto apre a un dialogo inedito con la scultura di artisti contemporanei che hanno reso di nuovo cool l’antica arte della ceramica.
Con estro, la curatrice Jasmine Pignatelli ha creato un vero e proprio osservatorio sull’arte tridimensionale fittile. Fa da apripista il surreale e onirico elefantino di Luigi Ontani, in accordo con il reperto romano, che segna il cammino tre le poliedriche e mai banali interpretazioni di dieci artisti italiani e degli altrettanti spagnoli selezionati da Juan Carlos García Alía. Sincopato è il dialogo tra organi del corpo umano in ceramica di Luigi Belli e Guido Scarabottolo e i ritratti del mostruoso inconscio animo umano di Raffaele Fiorella, il volto di donna in terracotta, mutevole nel tempo, di Serena Zanardi e le “maschere” di Angelo Biancini e il michelangiolesco torso, costretto nella materia, di Francesco Ardini. Mentre il doppio cuore, uno ricucito e l’altro lattiginoso, di Giovanni Gaggia, “batte” seguendo il ritmo cadenzato dei pannelli “sonori” di Angela Palmarelli.
UN’ARTE MUTEVOLE
Con la ceramica riacquistano nuova verve anche forme geometriche in optical style e le ripetizioni differenti di Maria Oriza Perez e di Cristina Vignanelli Bruni. È nella instancabile varietà della forma, dell’identità, della consistenza epidermica e delle contaminazioni materiche e cromatiche che l’argilla, materia primaria e primigenia, si manifesta in tutta la sua duttile potenza. Malleabile, flessibile, capace di ripiegarsi su se stessa come nelle forme amorfe di Gregorio Peño o nelle geometrie di Achille Perilli, nei vasi rivisitati di Carla Accardi, Giosetta Fioroni o Jusùs Castañon Loche o nelle destabilizzanti combinazioni di Dunia Mauro, solo per citare alcuni degli artisti presenti, l’argilla si fa metafora dell’arte mutevole, capricciosa e in continuo divenire.
UNA BIENNALE CHE FA RIFLETTERE
Il file rouge della Biennale si dipana dal Museo Tuscolano, un tempo scuderie della famiglia Aldobrandini, fino alle Mura del Valadier, nella visione di Lorenzo Fiorucci. Tra le pareti di mattoni a vivo si uniscono, come in una danza, il design geometrico di Nino Caruso, le terrecotte apparentemente in forma di bozzetto di Sebastian Matta, intorno a cui si muovono le fantastiche visioni di Tommaso Cascella, Giovanni Calandrini, Massimo Luccioli, Luigi Belli.
BACC non è semplicemente una Biennale di Arte della Ceramica, ma piuttosto un’acuta e necessaria riflessione sull’instabilità del tempo e dello spazio che occupiamo, è metafora di una mutevolezza travolgente che investe non solo cose e persone, ma animi e luoghi emotivi. Gli artisti presenti, pur con modi e linguaggi distanti e opposti, rimettono al centro un sentire individuale, ma condiviso, comune all’umano e alle sue intermittenze collettive.
‒ Eloisa Saldari
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