Fluttuante & ancorato (II). L’epoca nuova
“Se vuoi veramente arrivare lì dove la scrittura vive, scrivi come se fossi morto”, suggerisce il poeta irlandese Brendan Kennelly. E il nuovo ciclo di interventi di Christian Caliandro va proprio in questa direzione.
“Quando si legge un manuale di storia letteraria o di storia delle arti ‘visive’, il capitolo dedicato ai viventi è immancabilmente penoso. Non si creda che ciò sia sempre dovuto a malafede o a insipienza di manualisti e antologisti. Un uomo di cultura che abbia conversato, per lunghi anni, con le grandi ombre del passato non può provare che irritazione e sconforto imbattendosi in uomini che pretendono di essere artisti, e per giunta artisti vivi. (…) l’artista che apparentemente vive e pensa come gli altri uomini è veramente insopportabile. Che cosa pretende da noi questo millantatore? Una vita prima e una vita dopo? Sarebbe troppo comodo. Incominci a levarsi dai piedi, poi ne riparleremo…” (Eugenio Montale, Quelli che restano, “Corriere d’Informazione”, 20-21 agosto 1951, pubblicato in Auto da fé, Mondadori 2016, p. 81).
Uno stato di stanchezza abbastanza difficile da raggiungere, e da mantenere – di sospensione cosmica – Glenn Branca è stato il maestro di Thurston Moore e di Lee Ranaldo – senza di lui, i Sonic Youth non sarebbero mai esistiti – New York nella seconda metà degli Anni Settanta era fallita, quartieri fatiscenti e degradati, uno zoo umano, Travis Bickle che guida il taxi di notte e la voice over dice: “Animals go out at night” – link di YouTube e presentazioni in PowerPoint, immagini su immagini, sequenze, immagini di immagini. Mario Schifano davanti alla tv, catturato dal processo creativo laterale che funziona come lo zapping, dal meccanismo mentale dello zapping e da tutte queste immagini fantasmiche che si producono da sole, nella notte (come Ugo Fantozzi dieci anni dopo mentre guarda le donne nude sulle reti private, le prime, e quando entra Pina sullo schermo compare il prete) – i film di Pierino e Gloria Guida sull’enorme televisore in bianco e nero, design Anni Settanta, con i tasti curvi e cromati, chissà che fine ha fatto, e lì sopra anche vista la terribile scena della faccia squagliata in Luca il contrabbandiere (1980) di Lucio Fulci – andavo a scuola il pomeriggio, l’ho già detto, e la mattina su RETE4 davano questi bei film, onirici e violentissimi, a disposizione delle casalinghe italiane (si chiama terapia d’urto) – i miei erano a scuola, io rimanevo a casa con Enza (che, negli ultimi trent’anni, non è cambiata granché) – i completi bianchi e le magliette fluo di Don Johnson, bianca anche la Ferrari desiderata ardentemente (il pomeriggio, invece) – Franco e Ciccio in divisa da militari, la pelata di Hunter, la Storia d’Italia a Fumetti di Enzo Biagi – una vecchia da incubo che accenna a entrare in camera mia e di mio fratello nel buio, di notte – le finestrelle quadrate, molto primi Anni Ottanta, nel soggiorno (guardano sul balcone) – e la luce, la luce, il calore, le frittelle con la ricotta piccante – più tardi, guanti neri con le dita tagliate a metà (come quelli di Rocky, Rocky Balboa povero in canna e disperato che spezza i pollici a metà Anni Settanta per conto di un mafioso prelevato di peso dal primo film di Scorsese, non ancora visto, e non il Rocky Balboa miliardario e imbolsito di metà Anni Ottanta) e gli ultimi bracieri credo della storia, usati da arcaiche nonne di paese e dai parenti in visita la sera, questi carboni ardenti mai più allumati.
“L’artista vivo è talvolta obbligato a fornire spiegazioni sull’opera sua. Se dichiara di non poterne dare non viene creduto; se smentisce le spiegazioni date da altri passa per un presuntuoso; se le accetta, non può accontentare tutti perché deve accoglierne qualcuna escludendone altre” (Eugenio Montale).
Andare indietro, retrocedere, regredire – simulare il passato, e nel frattempo rispettare tutti gli ordini e tutte le consegne nel presente, non permette di accedere al futuro – il futuro si schiude soltanto con gli errori, e per sbagliare ci vuole spazio, ci vuole tempo, ci vuole esperimento, ci vuole fallimento, ci vuole DONARE questo spazio questo tempo questo esperimento questo fallimento – fessurare la propria epoca, cercare di non appartenerle – parlare (sempre) la lingua dei vecchi porta, certo, a essere apprezzati dai vecchi – ma non c’entra molto con l’epoca nuova, con l’epoca che si chiude (solo) a scatti, a scossoni, a impreviste cadute, lampi, rapimenti, dismissioni. Sbandare è l’arte; fare quello che ci si aspetta da te non è un’arte – è sbrigare un compito e confermare un tragitto. (Le intersezioni. I piani convergenti e divergenti. Lo sprawl. Il lievito madre. La qualità. Il gusto acre. Levare la terra sotto i piedi; scartare; fare circonvoluzioni, portarli dove non vogliono andare, dove ci sono sensazioni spiacevoli e interessanti. Sbarazzarsi della buona educazione, della paura di non sembrare abbastanza finto-modesti, cinici, efficaci, à la page, di mondo. di mondo. di mondo).
“E del resto non è una continua fuga la vita dell’artista vivo? Egli solo è capace di comprendere che l’immortalità delle sue opere dura quanto un batter di ciglio e che la vera infinità dell’arte è un lampo che non si misura coi mesi e gli anni dei calendari umani” (Eugenio Montale).
‒ Christian Caliandro
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