Cultura e controcultura. L’editoriale di Marcello Faletra
Da Hannah Arendt a Pablo Echaurren, dalla filosofia agli Indiani Metropolitani. Un breve ma ficcante editoriale di Marcello Faletra per capire a cosa potrebbe servire un po’ di sana controcultura.
In un saggio del 1954, Hannah Arendt parlava del destino della cultura in questi termini: “Solo ciò che sopravvive nei secoli potrà rivendicare il titolo di oggetto culturale”. Da una generazione all’altra, la permanenza di uno stesso oggetto culturale ne determina lo statuto di “cultura”. Posta in questi termini, la cultura è un oggetto storico. L’“oggetto culturale” che da secoli porta il nome di “Amleto”, di “Antigone” o “la Cena” di Leonardo, certo, continua a esistere – “sopravvive” – come oggetto storico, ma solo come feticcio. Si mescola con altri oggetti dell’industria culturale, tipici della cultura di massa. Per il turista, vedere Giotto o il supergadget Puppy di Koons a Bilbao non fa differenza. Ma dato che l’arte continua a esserci, la maggior parte degli uomini la vive come crede, come recita un grandioso passo di Kant. Come quel turista che davanti al Partenone esclama: “È beige, è il mio colore!”. Nell’accezione della Arendt, la cultura forma; per il turista, invece, informa. Tuttavia, nella seconda metà del Novecento è emerso qualcosa che non appartiene alla cultura come processo formativo, né alla cultura come consumo: la “controcultura”.
“La cultura non è un oggetto ma un soggetto attivo, vale a dire una pratica di sviamento come l’intese Duchamp, e prima di lui Cendrars”.
Nata nella trasversalità delle pratiche delle avanguardie storiche, senza alcuna specifica identità, ha scombussolato le buone maniere della cultura ufficiale. Nietzsche nello scenario filosofico, dopo Spinoza, forse ne fu il profeta quando rifiutò Wagner e i suoi adepti con queste parole: “Cornuti sigfridi”. Tutta la sua produzione dopo Il caso Wagner potrebbe essere vista come un manifesto ante litteram della controcultura che si scaglia contro le derive conformiste dell’arte. D’altra parte, un’arte che non dissacra i luoghi comuni e non fa paura che cos’è? – si chiedeva tormentato. Qui la controcultura di Nietzsche è una contro-informazione. Con le parole di Deleuze: “Un atto di resistenza”. E che avrebbe detto Nietzsche degli Indiani Metropolitani del ’77, che dissacravano a colpi di ironia post-situazionista il sistema politico-culturale dell’epoca? Una grande mostra di Pablo Echaurren che dopo il Beaubourg approda a Catania, dal titolo Soft Wall, risponde a questa domanda. Il problema di questa mostra, dice Echaurren, semmai è un altro. La cultura non è un oggetto ma un soggetto attivo, vale a dire una pratica di sviamento come l’intese Duchamp, e prima di lui Cendrars. Come altrove hanno scritto Serena Giordano e Alessandro Dal Lago, è “fuori cornice”. Vive a lato dei fenomeni riconosciuti e, soprattutto, non ha divisa o collocazione. Chissà cosa ne avrebbe pensato Hannah Arendt.
‒ Marcello Faletra
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #41
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