Ricerca e libertà. L’editoriale di Fabrizio Federici
Dopo una dura battaglia, la legge 124/2017, entrata in vigore il 29 agosto scorso, ha sancito la liberalizzazione delle riproduzioni fotografiche in archivi e biblioteche. Un traguardo che va difeso.
Chi abbia un po’ di esperienza nel campo della ricerca umanistica, sa bene cosa abbia significato fino a ieri scattare fotografie in archivi e biblioteche. Fotografie indispensabili (per trascrivere comodamente i documenti a casa propria, per accorciare la durata di costosi soggiorni di studio fuori sede) e facilissime da fare, grazie a fotocamere digitali e cellulari. Ma, fino a ieri, vietatissime: ufficialmente per misteriose ragioni di tutela, in realtà in ossequio a una concezione proprietaria del bene culturale che vede il funzionario o il custode di turno non al servizio del cittadino, ma come il proprietario de facto del bene, impegnato a difenderlo dalle grinfie dell’utente, vandalo vestito da agnello, animato da una cieca furia distruttrice. E scattare era vietato anche perché, naturalmente, c’era da alimentare il business dei servizi di fotoriproduzione, ai quali il lettore era obbligato a rivolgersi, a caro prezzo e con lunghi tempi di attesa. E allora, anziché spendere e aspettare, si rischiava: con la mano tremula e la fronte imperlata di sudore, si attendeva che i custodi si assentassero o che fossero troppo impegnati a ciacolare, e si scattavano di nascosto foto per forza di cose molto brutte, ma utilissime.
Se si veniva scoperti, partivano i rimbrotti, le umiliazioni, le minacce, come se al posto di un ricercatore ci fosse stato il peggior criminale.
“La strada comunque è segnata, e occorre percorrerla fino in fondo: liberalizzando la pubblicazione sulle riviste scientifiche delle immagini non solo dei documenti, ma anche delle opere d’arte di proprietà pubblica”.
Per fortuna, si può parlare al passato di questi oscuri momenti: dopo una dura battaglia, la legge 124/2017, entrata in vigore il 29 agosto scorso, ha sancito la liberalizzazione delle riproduzioni. Adesso fare ricerca è più piacevole, il clima nelle sale di consultazione è decisamente più disteso. Ma non bisogna abbassare la guardia: le critiche e le resistenze al provvedimento, specie dall’interno dell’apparato statale, sono molte – c’è chi, in maniera mistificatoria, lo ha etichettato come un atto di “neoliberismo renziano”, altri ne ostacolano l’attuazione, come il direttore dell’Archivio di Stato di Palermo, che obbliga gli utenti a una richiesta di autorizzazione (puntualmente rifiutata) non prevista dalla legge. La strada comunque è segnata, e occorre percorrerla fino in fondo: liberalizzando la pubblicazione sulle riviste scientifiche delle immagini non solo dei documenti, ma anche delle opere d’arte di proprietà pubblica. Niente più autorizzazioni, niente più balzelli. La pubblicazione, la ricerca, la divulgazione sono parte di quell’azione di salvaguardia e valorizzazione che le istituzioni di tutela sono chiamate a promuovere, e occorre riconoscerlo agevolandole in ogni modo. Che si tratti di operazioni ben diverse da uno sfruttamento a fini di lucro lo capisce anche un… burocrate.
‒ Fabrizio Federici
Articolo pubblicato su Grandi Mostre #8
Abbonati ad Artribune Magazine
Acquista la tua inserzione sul prossimo Artribune
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati