Spazio pubblico, memoria, movimento. L’editoriale di Antonio Ottomanelli
Il fotografo Antonio Ottomanelli si interroga sui temi caldi del presente: lo spazio pubblico, la memoria, la libertà di movimento e il conflitto. A partire dall’esempio di Baghdad.
Ho iniziato a occuparmi di fotografia in ambito urbanistico, durante i miei anni di formazione nella facoltà di Architettura di Milano. Lo spazio pubblico è sempre stato il luogo del mio interesse e della mia ricerca. La mia infanzia, trascorsa a sud, a cielo aperto di città prima e campagna poi, mi ha educato al concetto di spazio pubblico e bene condiviso; e questo spazio, che è un bene, è il testo unico dell’educazione del nostro sguardo. Credo che lo spazio pubblico sia uno spazio di educazione alla disobbedienza.
In un precedente articolo ho accennato brevemente alla mia esperienza a Baghdad, dove ho soggiornato in diversi momenti dal 2011 al 2013. Durante quel periodo ero impegnato in un’indagine documentaria sulla ricostruzione post bellica nei Paesi interessati dai conflitti armati generati dall’attentato del 9/11. Baghdad è una città completamente trasfigurata dagli effetti del conflitto armato in corso dal 2003, anno dell’invasione USA, in cui il movimento e l’osservazione sono pratiche ostacolate. Le strategie e i sistemi di sicurezza pubblica hanno frazionato il territorio, trasformandolo in un insieme di campi recintati, dislocati su un piano indefinito.
Non si cammina a Baghdad. In coda, in una corrente gonfia e lenta e forzata di un liquido denso e bollente. Le highway, che dividono la città in aree, sono fiumi in piena che spingono nelle strade primarie. La massa corrente è costretta dentro grossi argini. Lungo le strade primarie, numerosi checkpoint aprono a pochi l’accesso a vie secondarie tangenti i campi chiusi. Baghdad è una città interrotta, spaccata sul confine tra Secure Place e Public Space. La Sicurezza è il limite presso cui si attende. Sicurezza è prima di tutto progettazione dell’architettura del recinto: può essere di cemento o amministrativo, comunque strumento di limitazione della libertà di movimento, e occultazione di brani di città.
UNA GEOGRAFIA DI RELAZIONI
Non esistono mappe contemporanee di Baghdad, non esiste catasto. Uno dei miei progetti realizzati a Baghdad si chiama Mapping Identity ed è stato realizzato insieme agli studenti della facoltà di Belle Arti dell’Università di Baghdad. Abbiamo ridisegnato l’intero territorio urbano, unendo una serie di mappe che indicano le trasformazioni degli ultimi quindici anni e i percorsi quotidiani all’interno di quelle porzioni di territorio che ogni studente conosce e vive. Queste mappe da una parte sono state lo strumento che ho utilizzato per comprendere la struttura urbana e orientarmi nel tessuto della città di Baghdad, dall’altra sono un autentico invito all’azione contro la limitazione della libertà di movimento.
Gli studenti di Baghdad in questo modo ricostruivano una geografia di relazioni, riconquistavano alla memoria pezzi di territorio, avvicinando tra loro frammenti distanti, infiniti muri e checkpoint. Costruire una città vuol dire dunque innanzitutto fissare nel territorio un sistema di significati (usati dalla memoria come forma di linguaggio). Il movimento a sua volta usa la memoria, la sostanza che rende possibile ogni forma di relazione, permettendo la formazione di ideologie e comunità.
PAESAGGI IMMATERIALI
L’evoluzione tecnologica dell’ultimo ventennio ha individuato nuove frontiere del reale e determinato nuovi paesaggi del nostro quotidiano. In queste nuove dimensioni sono stati clonati interi sistemi culturali, economici e politici. Sono state ricostruite identiche le forme dell’autorità e le sue strategie di controllo. Questa realtà è diventata il principale oggetto di indagine, racconto e progettazione. Così anche l’architettura, il design e le arti visive hanno sviluppato pratiche e dispositivi utili alla documentazione e alla progettazione di questa realtà digitale, elaborando una solida iconografia di questo paesaggio immateriale. Negli ultimi dieci anni questo nuovo paesaggio ha ampliato i suoi confini fino a diffondersi nella totale grandezza e molteplicità del paesaggio materiale.
Le culture, le economie e le politiche dei due mondi si sono trovate a convivere, come in una figura a doppio riflesso, ma priva di movimento. Hanno sovrapposto se stesse, identiche, nel quadro di un paesaggio abbandonato. È importante comprendere – e quindi ammettere – l’assoluta identità e corrispondenza tra mondo digitale e materiale. Due mondi in cui l’esercizio libero e imprevedibile del movimento è ostacolato; in cui l’esercizio memoriale viene controllato e predeterminato; in cui le comunità sono state trasformate in insiemi di soggetti costruiti con la volontà di eliminare conflitti e reazioni.
– Antonio Ottomanelli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #40
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